L'energia e le fonti di energia:
- Introduzione:
- Differenze tra energie rinnovabili e non rinnovabili
- cenni sulle unità di misura dell'energia;
- i cambiamenti climatici ed i trattati sul clima
- Le principali fonti energetiche, le loro caratteristiche e l'impatto ambientale:
- Migliorare l'isolamento dell'edificio
- Risparmiare sull'illuminazione di casa
- Impianti e sistemi di riscaldamento
Il risparmio energetico nelle abitazioni
Nel 2022 enel 2023 abbiamo assistito ad una importante diffusione delle pompe di calore e dei sistemi ibridi, grazie, soprattutto ai benefici consentiti dall'applicazione del superbonus 110%.
La diffusione di sistemi di riscaldamento che utilizzano l'energia elettrica, anzichè il gas, come fonte energetica è stimolata sia a livello europeo che nei singoli stati, come l'Italia. Come vedremo nel prosieguo dell'articolo questo avviene in concomitanza con una spinta verso le fonti energetiche alternative, in modo particolare quelle rinnovabili.
In sostanza sta aumentando la "quota elettrica" dell'energia per il riscaldamento in ambito edilizio (così come nell'ambito della mobilità e dei trasporti).
Al fine di ottenere questo risultato sono state introdotte delle pompe di calore "aria-aria" ma anche "aria-acqua", il cui utilizzo è favorito da incentivi fiscali.
Come vedremo nell'articolo l'efficienza di un sistema edilizio non dipende soltanto dal sistema termico primario utilizzato per riscaldare o raffreddare gli spazi abitativi ma anche dalla performance dell'involucro che li avvolge.
Gli interventi di efficientamento energetico sono importanti anche per adeguare gli edifici alla direttiva europea sulle "case green".
La direttiva europea sulle Case Green
Con il via libera del Consiglio Ue Ecofin, la direttiva Case Green è stata approvata definitivamente nel 2024 e stabilisce un percorso che tenderà all'azzeramento delle emissioni per gli immobili nel 2050. Ora i 27 Stati membri della comunità europe avranno 2 anni di tempo per recepire la direttiva con l'obiettivo di garantire che almeno il 55% della riduzione del consumo medio di energia primaria sia ottenuto attraverso la ristrutturazione degli edifici con le peggiori prestazioni, quelli più energivori. Questo significa in Italia si dovrà intervenire e ristrutturare con priorità almeno circa 5 milioni di immobili su 12,5 milioni di edifici residenziali presenti nel nostro Paese.
Caldaie
Un’altra modifica rilevante della nuova direttiva delle case green riguarda lo stop alla vendita delle caldaie a gas, che è stato posticipato al 2040 con un processo graduale. Dal 2025, infatti, saranno aboliti tutti i sussidi per le caldaie autonome a combustibili fossili e verranno implementati incentivi per incoraggiare il passaggio a sistemi di riscaldamento e raffreddamento alimentati da energie rinnovabili.
Pannelli solari
Per quanto riguarda i pannelli solari, l’obbligo di installarli riguarderà i nuovi edifici pubblici e sarà progressivo, dal 2026 al 2030. Dovranno inoltre essere attuate strategie, politiche e misure nazionali per dotare di impianti solari gli edifici residenziali.
Le classi energetiche e l'APE
Per arrivare a ridurre i consumi energetici, ogni Paese membro (Italia inclusa) dovrà introdurre requisiti minimi di prestazione energetica, il che porta al collegamento con gli attestati di prestazione energetica (Ape).
Prima di affrontare nello specifico questi argomenti, però, dobbiamo fare un passo indietro e spiegare quali sono i fattori che hanno portato, oggi, alla consapevolezza che occorra un deciso cambiamento nelle modalità costruttive e nelle caratteristiche impiantistiche degli edifici. Per questo parleremo di come veniva e di come viene prodotta l'energia.
Che cos'è l'energia?
L’energia, come la definirebbe un ingegnere, è la capacità di un corpo o di una sostanza di trasformarsi e di realizzare del lavoro.
La storia dell'uomo è stata sempre caratterizzata dalla ricerca di nuove fonti d'energia: inizialmente per garantirsi la sopravvivenza, poi per migliorare il proprio tenore di vita. In origine l'energia era costituita dal lavoro muscolare dell'uomo o degli animali, ma presto gli uomini impararono ad utilizzare altre fonti di energia, ad esempio quella dell'acqua, tramite dei mulini sui fiumi o quella del vento, per la navigazione o del legno che bruciando genera calore.
Nell'epoca industriale l'energia assume un'importanza straordinaria ed i grandi progressi tecnologici sono permessi dall'utilizzo prima del carbone (e delle macchine a vapore da questo dipendenti) e poi dall'utilizzo dei giacimenti di petrolio ed in tempi più recenti dallo sfruttamento del gas naturale.
Il gas naturale si è diffuso soprattutto negli impieghi domestici (cottura e riscaldamento) ed anche in Italia, con la "metanizzazione" del paese, è tuttora il principale combustibile utilizzato per il riscaldamento delle abitazioni e per cucinare.
Proprio il gas è protagonista (in negativo), in questi mesi del 2022, di un rialzo dei prezzi che hanno visto la quotazione al metro cubo quadruplicare a causa del conflitto in corso tra Russia ed Ucraina.
A queste fonti di energia si sono aggiunte l'energia nucleare (utilizzata da altri paesi), l'energia geotermica , l'energia solare (termica e fotovoltaica) l'energia eolica, l'energia idrica e l'energia da biomasse (legna da ardere e pellets).
Le differenti fonti di energia
Le fonti di energia appena elencate si possono classificare in differenti modi.
Il primo prevede la divisione tra fonti di energia primaria, ovvero quelle fonti di energia direttamente presenti in natura, ed in fonti di energia secondaria, cioè derivante dalle primarie e quindi non presenti direttamente in natura ma ottenuti da una trasformazione delle fonti primarie.
Energia primaria e secondaria
Petrolio, carbone, gas sono esempi di fonti primarie, quindi, in quanto già disponibili in natura, mentre la benzina o il gasolio, che si ricavano dalla raffinazione del petrolio, sono fonti secondarie.
Energia rinnovabile e non rinnovabile
Inoltre si distingue tra fonti di energia rinnovabile e fonti di energia non rinnovabili. Sono classificate come rinnovabili le fonti energetiche primarie considerate inesauribili, ovvero in grado di rigenerarsi con continuità o comunque caratterizzate da durate molto grandi rispetto alla scala dei tempi umani. Un esempio classico di fonte rinnovabile è l'energia solare.
Mentre sono fonti non rinnovabili quelle che vengono consumate con velocità di gran lunga maggiori a quelle necessarie perchè la fonte di energia si formi nuovamente. Qui, un esempio facile è il petrolio.
Sono fonti primarie le fonti energetiche esauribili (petrolio grezzo, gas naturale, carbone, materiali fossili) e le fonti di energia rinnovabili quali energia solare, eolica, idrica, biomasse, geotermica.
Quali caratteristiche rendono interessanti le fonti energetiche
Una fonte energetica è tanto più interessante quanto più riesce ad essere:
- concentrabile
- indirizzabile
- frazionabile
- continua
- regolabile
- accumulabile
Vediamolo di spiegare queste caratteristiche:
1. Concentrabile
Questo significa che la fonte energetica è tanto più valida quanto più è possibile concentrarla in un'area relativamente limitata: se è possibile porla in un serbatoio, in un bacino di raccolta, in una batteria.
2. Indirizzabile
Deve essere facile indirizzare il prodotto (benzina, pellets, gas) verso il bruciatore o il dispositivo che lo utilizza
3. Frazionabile
Deve essere possibile frazionare la fonte in parti piccole, in modo da poterne utilizzare esattamente la porzione che serve nello specifico momento
4. Continua
La sorgente deve poter funzionare con una certa continuità e non esaurirsi in pochi secondi (un fulmine, un esplosione ed altri eventi pur portando moltissima energia durano pochi secondi e non sono d'aiuto).
5. Regolabile
Una fonte di energia ideale è anche graduabile secondo necessità, in modo che non ci siano sprechi.
6. Accumulabile
Un'altra caratteristica ideale delle fonti di energia è quella di essere accumulabile in modo da poter essere "parcheggiata" ed utilizzata nel momento di bisogno. Si pensi ad una diga, dove viene accumulata energia idroelettrica, o ad una batteria di accumulo al litio.
L'energia rinnovabile
Il cambiamento climatico, una diffusa sensibilità ambientale, una serie di incentivi economici (nazionali e regionali) e di nuove regole costruttive ha permesso, negli ultimi decenni, la crescita delle fonti rinnovabili.
Ma che cosa sono? e come si distingue una fonte di energia rinnovabile da una non rinnovabile?
Non rinnovabili e loro durata
Quella tra rinnovabili e non rinnovabili è la più importante tra le classificazione delle fonti di energia. Le non-rinnovabili sono state e sono attualmente le più utilizzate e comprendono i combustibili fossili come petrolio, carbone e gas naturale ma anche l'uranio. Non rinnovabili significa che sono delle riserve finite, destinate ad esaurirsi.
Agli attuali livelli di consumo le riserve di petrolio dovrebbero durare per circa 50/60 anni, quelle di gas naturale per circa 50/60 anni e quelle di carbone per circa 130 anni, quelle di Uranio per circa 40-50 anni.
Questo calcolo si basa sui giacimenti noti e può cambiare se vengono scoperti nuovi giacimenti o nuove tecnologie per sfruttare giacimenti attualmente non raggiungibili.
Rinnovabili: sole & c.
Sono fonti di energia non “esauribili” ed il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. Viene anche utilizzato l'acronimo FER che sta per "fonti energie rinnovabili".
Il "motore" principale delle rinnovabili è il sole, o meglio le radiazioni solari che raggiungono la superficie terrestre la cui entità, in un anno pari a 90000 TW, e cioè (sembra incredibile) più di 15.000 volte l'attuale consumo energetico mondiale.
Ma oltre all'energia solare, anche altre energie derivano dal sole che genera i venti (e quindi l'energia eolica) ed è responsabile del ciclo idrologico (e quindi genera l'energia idroelettrica).
Tra le rinnovabili ci sono anche tipi di energie che non dipendono dal sole come, ad esempio, la geotermica.
Spesso al posto di "energia rinnovabile" vengono utilizzati i termini "energia alternativa" o "energia sostenibile".
L'uso dell'aggettivo "alternativa" si riferisce alle alternative ai combustibili fossili (petrolio, carbone, gas). E la dizione "energia sostenibile" si riferisce anche ad un uso corretto dell'energia, volto ad evitare i possibili sprechi.
Noi consideriamo rinnovabili:
- energia geotermica
- energia idrica
- energia solare
- energia eolica
- energia delle biomasse
- energia del moto ondoso
Le prime due, geotermica ed idrica, sono delle fonti rinnovabili "classiche", che si sono sviluppate quando ancora non c'era l'attenzione al climate change, mentre le altre hanno avuto una evoluzione più recente e sono state spinte da convenzioni e trattati, come vedremo, per limitare l'incremento antropico delle temperature del pianeta.
Le unità di misura dell'energia
L'unità di misura dell'energia prevista dal Sistema Internazionale, e quindi valida per tutti i paesi, è il Joule.
Joule
Un singolo Joule esprime l'energia usata (o il lavoro effettuato) per esercitare una forza di un newton per una distanza di un metro. Va precisato che il joule è una quantità molto piccola, corrispondendo (in maniera assolutamente qualitativa) più o meno all'energia che serve per portare una tazzina di caffè alla bocca.
Per tale motivo si sente più spesso parlare di Megajoule [MJ] che corrisponde ad un milione di joule (106 [ J ]) o di Gigajoule [GJ], che corrisponde ad un miliardo di joule (109 [ J ]).
Watt
Un'altra unità di misura dell'energia coinvolge la potenza ad essa correlata ed in questo caso si utilizza il WATT. Anche qui si sente più spesso parlare di Kilowatt e di Megawatt per gli stessi motivi di cui sopra.
Se poi facciamo riferimento specificamente all'energia elettrica parleremo di KWh (kilowattora) che sono l'energia sviluppata da una potenza di 1 Kw per un ora. Se lasciamo accese 10 lampadine da 100 watt cadauna per un ora avremo consumato 1 KWh.
Kilocaloria
Oltre all'energia elettrica nelle abitazioni consumiamo energia termica, per scaldare l'acqua sanitaria o del riscaldamento.
Per misurare l'energia termica si fa riferimento alla Kilocaloria e cioè alla quantità di calore necessaria per riscaldare di un grado centigrado un Kg di acqua (1 kcal=4,187 kJ).
Tep
Una unità di misura molto importante è quella che calcola il potenziale calorico del petrolio (cioè l’energia chimica intrinsecamente contenuta all’interno del combustibile): è il TEP (Tonnellata Equivalente di Petrolio).
1 [TEP] =107 [Kcal]
Btu
Se acquisti un condizionatore troverai un'altra unità di misura che abbiamo adottato dai paesi anglosassoni: il BTU.
Il British thermal unit (BTU o Btu) è un'unità di misura dell'energia, e rappresenta quantità di calore per innalzare di 1 °F (in Gran Bretagna si utilizzano i gradi Fahrenheit) la temperatura di una libbra (altra unità tipica inglese) d'acqua.
Come dicevamo le BTU sono solitamente utilizzate nella definizione del potere refrigerante dei sistemi di condizionamento degli ambienti. 1 BTU = 1,055056 kJ
Trattati internazionali sull'utilizzo di fonti energetiche
Abbiamo accennato a come una serie di convenzioni e trattati internazionali per prevenire il Climate Change hanno avuto delle importanti conseguenze anche sull'utilizzo delle rinnovabili e sugli impianti per riscaldare la nostra abitazione e sulle fonti di energia che possiamo utilizzare. Vediamo allora quali sono le principali tappe di questo percorso.
Prima conferenza: Rio 1992
La prima conferenza sul Climate Change è lo storico "Summit per la Terra" tenuto a Rio nel 1992. La convenzione nata da quella conferenza è nota come "Accordo di Rio" ed entrò in vigore il 21 marzo 1994.
COP 1 Berlino, 1995
L'accordo prevedeva tra le altre cose un incontro annuale organizzato come "Conferenza delle Parti (COP)" per analizzare i progressi nell'affrontare il fenomeno del cambiamento climatico. Il primo vertice ONU (COP 1) sul clima è organizzato dal 28 marzo al 7 aprile 1995, purtroppo con un basso livello di impegno richiesto ai paesi industrializzati e quindi poco utile.
Kyoto 1997
La prima importante svolta avviene con il convegno di Kyoto nel 1997, il primo trattato al mondo dove viene espressamente prevista la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, in particolare anidride carbonica e metano, che si è dimostrato siano causa dell’innalzamento della temperatura del globo.
Purtroppo gli Stati Uniti si rifiutarono tassativamente di ratificare l’atto che stabiliva impegni di riduzione delle emissioni per i soli Paesi sviluppati, in linea con il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” fra gli Stati.
Gli impegni di Kyoto prevedevano una prima fase di riduzione delle emissioni relativamente al periodo 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990. Altra brutta notizia: nel 2011 il Canada ci ripensa e, a solo anno dal termine ultimo, esce dal Protocollo di Kyoto.
COP 13 2007
Dal 1998 fino alla vertice ONU di Bali del Dicembre 2007, i lavori riguardano principalmente la definizione e messa a punto di metodologie e procedure d’attuazione del Protocollo di Kyoto, formalizzando gli accordi sui 3 meccanismi principali: l’Emissions Trading (EU-ETS), il Clean Development Mechanism (CDM) e la Joint Implementation. La COP13 (2007) inizia invece a smuovere le acque e adotta la Bali Road Map, tracciando finalmente il percorso verso il nuovo processo negoziale per affrontare il cambiamento climatico in maniera “condivisa”. Nel “Bali Action Plan”, il documento conclusivo della COP, la parti stabiliscono, anche a seguito delle maggiori certezze degli effetti antropici sul sistema clima di accelerare le trattative per arrivare, entro il 2009, alla definizione di impegni vincolanti globali.
COP 14 Poznam 2008
La Conferenza delle Parti di Poznan (COP14, 2008), in Polonia, compie importanti passi verso la definizione di meccanismi di supporto ai Paesi in via di sviluppo, tra cui il Fondo di adattamento nel quadro del protocollo di Kyoto e lo Strategic Program on Technology Transfer, programma per promuovere gli investimenti nel trasferimento di tecnologie ambientalmente compatibili. I delegati inoltre negoziano una proposta di emendamento del Protocollo di Kyoto per ulteriori impegni post 2012, in maniera da arrivare ad un Kyoto-bis alla COP15. Infine si formalizza l’introduzione del tema REDD+ (riduzione delle emissioni dalla deforestazione e degrado forestale): il meccanismo REDD+ prevede il conteggio della protezione delle foreste nel calcolo delle emissioni di carbonio, e la COP dà il suo consenso a studi di metodologia, che permettano di stabilire scenari di riferimento per poter rendere questi sforzi misurabili e comparabili. Peccato che all’ultimo Nuova Zelanda, Australia, USA e Canada facciano pressione per rimuovere tutti i riferimenti ai diritti delle popolazioni indigene precedentemente inseriti nel testo.
COP 15 Danimarca 2009
Le grandi aspettative ed obiettivi ambiziosi per l'incontro in Danimarca si infrangono contro un muro. Alla fine le tre paginette di accordo stabiliscono di rimandare tutto al 2015 ma, almeno, viene introdotto per la prima volta un concetto importante e cioè la necessità di evitare il superamento della soglia dei 2°C nell’aumento delle temperature.
COP 16 Messico 2010
Un po' meglio vanno le cose in Messico durante la COP 16 nel 2010. Si approvano delle misure per aiutare le nazioni in via di sviluppo in materia di cambiamenti climatici; ci si accorda per un Fondo Verde per il Clima e si stabilisce che bisognerà tagliare le emissioni di gas serra dal 20% al 40% al 2020. Vengono istituiti tre organismi: il Technology Executive Committee con il compito di stabilire le strategie per il trasferimento delle tecnologie, il Climate Technology Centre con il compito di organizzare le attività e il Climate Technology Centre and Network con lo scopo di attuare gli interventi. Particolarità: la Bolivia è l’unico paese a non firmare il documento di chiusura della COP16.
COP 18 Qatar 2012
In Qatar si riesce ad assicurare una seconda stagione al Protocollo di Kyoto (in scadenza lo stesso anno) estendendolo fino al 2020. Ma ricordo che l'accordo non era stato firmato dagli Stati Uniti e poi, mano a mano che si avvicinavano gli obiettivi da raggiungere molti importanti stati, tra cui il Canada, si sono defilati. Alla fine, ad accettare il rispetto del "Kyoto bis" sono unicamente Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia, responsabili insieme solo del 15-20 per cento delle emissioni di gas serra. Se il Kyoto bis non è un successo va però citato un importante obiettivo raggiunto in Qatar: l'approvazione del “Loss and Damage” stabilisce che le nazioni ricche debbano assumersi l’onere economico dei danni climatici subiti dalle nazioni povere (ma non viene presa la decisione sul finanziamento del pacchetto di aiuti).
COP 21 Parigi 2015
La ventunesima Conferenza delle Parti di Parigi porta a casa un grande risultato, ossia un patto climatico globale e condiviso. Ma per mettere tutti d’accordo il "Paris Agreement" deve essere per forza vago.
L’obiettivo inderogabile è quello di mantenere l’aumento della temperatura «ben al di sotto dei 2 °C», con la raccomandazione a fare di più (per uno scenario sotto 1,5 ° C). Una delle disposizioni chiave dell’accordo è la creazione di un meccanismo di revisione per gli impegni dei vari paesi: avrà luogo ogni cinque anni. Nessun progresso invece sui finanziamenti climatici nè sulla messa al bando delle fonti fossili.
L’accordo di Parigi punta sulla formula vaga della “neutralità climatica”, chiedendo il raggiungimento del picco di emissioni «il prima possibile».
COP 24 Polonia 2018
La COP24 si è svolta a Katowice in Polonia, dal 3 al 14 dicembre 2018. L'obiettivo della conferenza era stabilire un “Rule Book”, per attuare i principi dell’Accordo e di abbassare il limite di 2 gradi imposto dal COP21 portandolo a 1,5 gradi. Nel corso della Cop24 si anche stabilito come distribuire le risorse finanziarie necessarie a sostenere i paesi meno sviluppati per indurli a ridurre le proprie emissioni di CO2.
COP 27 Egitto 2022
La COP 27 si è svolta a Sharm el Sheikh a Novembre del 2022. Il presidente americano Biden ha riportato gli Usa nell'accordo di Parigi del 2015 che gli Stati Uniti avevano abbandonato per volontà del presidente Trump. Insieme all'unione europea, durante la conferenza, gli Usa hanno rilanciato la Global Methane Pledge che prevede di tagliare le emissioni di metano del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. I paesi che aderiscono a questa iniziativa sono 130. Il metano ha un potere riscaldante di circa 80 volte superiore alla CO2 quindi un rapido abbattimento puà frenare rapidamente l'aumento delle temperature globali.
Per quanto riguarda la CO2 durante la conferenza è stato reso noto un rapporto di Global Carbon Budget che rileva un aumento del 1% della CO2 rispetto al 2021. Nel 2022 è prevista una riduzione di circa l'1% in UE ed in Cina mentre saliranno in USA dell'1,5% ed in India (+6%).
Il percorso verso l'energia sostenibile dell'Europa
L’Europa, oltre ad aderire e supportare il Protocollo di Kyoto, nel 2009 ha impegnato gli stati membri al rispetto del cosiddetto “Pacchetto Clima 20-20-20” con la direttiva 2009/29/CE.
Il pacchetto clima 20-20-20 per il 2020
Questo progetto prevedeva l’aumento del 20% nell’efficienza energetica, la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra e l’aumento del 20% della quota di energie rinnovabili entro il 2020.
Il percorso intrapreso ha anche un altro vantaggio: ridurre la dipendenza energetica dell'Europa. Come vedremo l'Europa acquista buona parte dei combustibili fossili da paesi politicamente instabili e abbiamo visto - nel caso della guerra Russia-Ucraina - come i combustibili possano diventare "armi" utilizzate dai paesi esportatori per sanzionare i rivali.
Il pacchetto clima per il 2030
I parametri del pacchetto 20/20/20 sono stati ritarati per il 2030 in cui è prevista: una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990); una quota almeno del 27% di energia rinnovabile; un miglioramento di almeno del 27% dell'efficienza energetica.
Inoltre nel Giugno del 2018 la Commissione Europea ha trovato l’intesa per la quale, entro il 2030 nell'Unione Europea le energie rinnovabili dovranno coprire il 32% dei consumi energetici (non solo elettrici quindi, ma complessivi).
Il percorso dell'Italia
Anche l'Italia ha aderito al protocollo di Kyoto impegnandosi a ridurre le emissioni di gas serra.
Nel 1998 sono stati stabiliti gli obiettivi di riduzione delle emissioni per i 15 Stati membri che allora facevano parte dell'Unione Europea per raggiungere l'obiettivo comune di riduzione dell'8% rispetto ai livelli del 1990.
L'obiettivo di riduzione delle emissioni assegnato all'Italia era del 6.5% nel periodo 2008 - 2012. Il nostro paese ha adottato diverse misure: impiego di migliori tecnologie nei processi, la liberalizzazione del mercato, maggiore efficienza nell'uso dell'energia, sviluppo di fonti rinnovabili, incentivazione delle coltivazione di biomasse energetiche in agricoltura, l'adeguamento delle politiche dei rifiuti e coltivazione delle foreste per l'assorbimento delle emissioni di CO2.
Direttive CE
L'Italia ha dovuto rispettare:
- la Direttiva 2009/28/CE che l'ha vista impegnata a soddisfare, entro il 2020, il 17% dei consumi finali di energia mediante fonti rinnovabili, incluso l'uso di almeno il 10% di biocarburanti da fonti rinnovabili nei trasporti stradali e ferroviari;
- la Direttiva 2009/29/CE sullo scambio di quote di emissioni dei gas-serra (EU-ETS), che impone una riduzione al 2020 del 21% rispetto all'anno base 2005
- la Decisione 406/2009/CE (Effort Sharing Decision, ESD) concerne gli sforzi degli Stati membri per rispettare gli impegni comunitari di riduzione delle emissioni di gas-serra entro il 2020. La decisione assegna all'Italia l'obiettivo di riduzione delle emissioni del 13% al 2020 rispetto alle emissioni 2005 per tutti i settori non coperti dal sistema ETS, ovvero piccola-media industria, trasporti, civile, agricoltura e rifiuti.
Queste direttive vengono rese operative tramite il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) e tramite l'approvazione dei piani da parte del Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Sen 17
Il 10 Novembre 2017 è stato firmato il decreto sulla nuova Strategia Energetica Nazionale - L’Energia che cambia l’Italia (SEN 2017). La SEN 2017 pone un orizzonte di azioni da conseguire al 2030. Un percorso che è coerente anche con lo scenario a lungo termine del 2050 stabilito dalla Road Map europea che prevede la riduzione di almeno l’80% delle emissioni rispetto al 1990.
Politica internazionale, guerre ed energia
Sappiamo bene come molte delle recenti guerre siano correlate alle fonti di energia, così come sappiamo che i paesi esportatori di combustibili fossili spesso sono paesi governati da dittature, regimi militari e spesso siano paesi politicamente instabili.
Oltre agli aspetti umanitari, che sono certamente prioritari, le guerre per l'energia hanno una influenza importante sull'andamento dei costi dell'energia e le decisioni politiche dei vari dittatori o regimi militari, finiscono per scatenare vere e proprie crisi energetiche in paesi importatori, come il nostro.
Ma sono anche altri gli elementi e fenomeni da tenere presente quando si parla di politica ed energia. Vediamone alcuni esempi:
Crisi economiche
In primo luogo dobbiamo considerare la grave crisi iniziata nel 2008 negli Stati Uniti che ha investito l'economia mondiale per almeno 8 lunghi anni.
Quando l'economia si stava riprendendo abbiamo dovuto sopportare una ulteriore crisi stavolta a causa del diffondersi della pandemia da Covid19 a cui i governi di tutto il mondo hanno reagito con lockdown più o meno lunghi e più o meno gravi.
Il prezzo dei combustibili è ovviamente condizionato dall'andamento dell'economia e questo si è reso evidente quando abbiamo visto precipitare il prezzo del petrolio fino a valori addirittura negativi nel periodo del primo lockdown.
Nuove tecnologie estrattive
In secondo luogo va citata la recente tecnologia di estrazione da scisti negli USA che prevede la fratturazione idraulica delle argille e che ha assicurato l'indipendenza energetica del paese che prima doveva forzatamente importare da Russia e Arabia Saudita.
Crisi politiche, interventi militari
Tra i fattori più impattanti sui prezzi dei combustibili, di recente, è il tentativo in atto della Russia di tornare a giocare un ruolo di primo piano sulla scena politica mondiale, dopo il lungo ripiegamento successivo alla dissoluzione del'URSS e la parallela espansione della NATO verso Est in alcuni paesi ex sovietici e/o ex socialisti, con la conseguente crisi in Ucraina e l'intervento militare russo che ne è seguito con le conseguenze economiche ed energetiche che stiamo conoscendo in questi giorni.
Terrorismo
Di qualche anno fa è invece il fenomeno della diffusione del terrorismo in molti paesi medio orientali ed africani che, a partire dall'Afganistan, si è esteso enormemente nell'ultimo decennio in assenza di un contrasto efficace a livello internazionale ed ha coinvolto diversi stati occidentali: dalle Torri Gemelle agli attentati di Londra, Parigi, Madrid... I gruppi terroristici di matrice islamica si finanziano proprio grazie alla esportazione di Petrolio verso gli stati occidentali.
Queste e molte altre variabili politiche internazionali incidono sul mercato dell'energia che dipende, quindi, da complesse dinamiche politiche e geopolitiche. Oltre a queste variabili sono importanti i progressi tecnologici, le differenze climatiche e stagionali (la stagionalità fa variare la domanda di energia) e come abbiamo visto sono determinanti gli accordi sul clima che impattano, nel lungo termine, su domanda e offerta di fonti energetiche.
Quanta energia da rinnovabili nel mondo?
Dal momento che le fonti di energia classiche hanno ripercussioni, anche gravi, dal punto di vista geopolitico, è opportuno chiedersi: ma a che punto siamo con le energie rinnovabili? quanta percentuale rappresentano sul totale dell'energia?
per rispondere dobbiamo riferirci alla pubblicazione periodica dell'OCSE dalla quale si evince che nel l'importo totale di elettricità generata dalle fonti rinnovabili era pari a circa 6.625 TWh su un consumo di circa 25.551 TWh.
I contributi delle singole fonti sono:
- L'energia idroelettrica il 62% del totale seguita da
- eolico (21%),
- bioenergia (456 TWh),
- solare (256 TWh),
- geotermica (8 %) e dall'energia derivata dal mare.
IEA (International Energy Agency) prevede che la produzione globale di energia elettrica da fonti rinnovabili aumenterà di un terzo a più di 8000 Twh nel 2022 fino a raggiungere il 30% del totale alla fine di quest'anno.
Il carbone
Il carbone è un combustibile fossile o roccia sedimentaria estratto da miniere sotterranee o a cielo aperto, o prodotto artificialmente.
La formazione del carbone risale a circa 345 milioni di anni fa, quando un clima caldo e umido e un'elevata concentrazione di CO2 favorirono la crescita di alberi giganti: dopo la loro morte, favorita da inondazioni, si veniva a creare un ampio strato di legname, che non veniva degradato a causa dell'assenza di funghi e batteri specifici ancora non sviluppati, coperto poi da vari strati di altri sedimenti che lo sottoponevano a pressioni elevate e all'assenza di ossigeno.
Questo continuo processo ha portato alla formazione di quelli che conosciamo come carboni fossili.
È un combustibile pronto all'uso, formatosi entro rocce sedimentarie di colore nero o bruno scuro. È composto principalmente da carbonio e contiene tracce di idrocarburi, oltre a vari altri minerali assortiti, compresi alcuni a base di zolfo.
Esistono vari metodi di analisi per caratterizzarlo.
Utilizzo del carbone
L'inizio del suo massiccio sfruttamento è spesso associato alla Rivoluzione industriale, e ancora oggi rimane un combustibile importante: viene prodotta usando il carbone un quarto dell'elettricità mondiale. Negli Stati Uniti il carbone consente la produzione di quasi la metà dell'elettricità utilizzata.
Carbone ed effetto serra
L'uso del carbone per la produzione di energia è globalmente uno dei fattori principali dell'emissione antropica di anidride carbonica nell'atmosfera terrestre, principale causa dell'effetto serra e del surriscaldamento globale.
Tipi di carbone
- La torba non è un vero e proprio carbone fossile, in quanto deriva da piante erbacee che hanno subito una trasformazione parziale. Ha un aspetto spugnoso o addirittura filamentoso e un colore scuro. Si trova in giacimenti superficiali detti torbiere e viene usata soprattutto in agricoltura per arricchire il suolo con sostanze ricche di humus.
- La lignite. Ha un più alto contenuto di carbonio di circa 70% e un potere calorifico di 18,8-25,1 MJ/kg (4500-6000 kcal/kg); la sua formazione risale a circa 80 milioni di anni fa. Questo carbone presenta ancora la struttura del legno da cui ha avuto origine. I giacimenti si trovano prevalentemente in superficie. Non è un buon combustibile e quindi economicamente poco conveniente, nonostante ciò è stato ampiamente utilizzato in tutta Italia fino agli anni cinquanta e sessanta, soprattutto per la produzione dell'energia elettrica necessaria alla nascente industria italiana.
- Litantrace. Il litantrace è il vero carbone fossile inteso nel senso proprio del termine. Ha un contenuto di carbonio tra il 75% e il 90% e un potere calorifico di 29,3-35,6 MJ/kg (7000-8500 kcal/kg); la sua formazione risale a circa 250 milioni di anni fa e si trova in strati compressi tra rocce di composizione diversa. È il più utilizzato a livello industriale e per la produzione di energia elettrica. Da esso si ottiene anche il coke, un carbone artificiale compatto e resistente impiegato negli altiforni.
- Antracite È il più antico carbone proveniente da resti vegetali preistorici; contiene una percentuale di carbonio pari al 90% e ha un potere calorifico di 35.6 MJ/kg (8500 kcal/kg). Questo tipo di carbone risale a circa 400 milioni di anni fa. Ha colore nero e lucentezza metallica, è un carbone duro e fragile e più pesante degli altri. Dà una fiamma corta, con poco fumo, sviluppa molto calore, essendo il carbone più antico è il più ricco di carbonio, ma viene utilizzato molto poco perché assai costoso in quanto difficilmente reperibile.
Impiego del carbone
Se torba e lignite possono essere utilizzate per alimentare i forni, dopo essere state compresse in mattonelle, è il litantrace il principale tipo di carbone ad essere utilizzato nelle centrali termoelettriche e nell'industria oltre ad essere utilizzato anche per la produzione di gas combustibili e di idrocarburi liquidi. Ad esempio nella Repubblica Sudafricana, l'intero fabbisogno di olio combustibile è fornito dalla liquefazione del carbon fossile.
Il carbon coke
Il Carbon coke è un carbone artificiale che si ottiene quale residuo della distillazione secca del litantrace a temperatura elevata. Si presenta come un materiale di colore grigio più o meno chiaro, leggero e molto poroso, con lucentezza più o meno evidente. La qualità e le caratteristiche fisico-chimiche del coke (pezzatura, porosità, reattività, ecc.) dipendono essenzialmente da quelle del carbon fossile di partenza e dalla temperatura a cui si effettua la distillazione.
Il carbone vegetale
Il carbone vegetale (o carbone di legna, carbone artificiale o anche carbonella) è un combustibile prodotto dal processo di carbonizzazione della legna, che consiste nella trasformazione di un composto organico in carbone. È un processo naturale che avviene durante la combustione della legna (combustibile) in presenza di poco ossigeno (comburente) attraverso la cosiddetta carbonaia.
L'estrazione del carbone
L’estrazione del carbone avviene con i normali metodi di coltivazione usati per i minerali solidi stratificati. La scelta del metodo dipende da molti fattori, quali la pendenza degli strati, la loro profondità rispetto alla superficie del suolo, l’orizzonte geologico in cui si trovano le formazioni carbonifere, le caratteristiche del letto e del tetto degli strati, le pressioni sul tetto dovute ai terreni soprastanti, l’eventuale presenza di acque circolanti, etc
I giacimenti di carbone possono essere superficiali o profondi: il limite di profondità comunemente ammesso per lo sfruttamento economico è di 1.500 m in Europa (300 m negli USA).
Il metodo principale utilizzato in Europa è l'estrazione in galleria, questo perchè la maggior parte dei giacimenti carboniferi europei si trova in profondità. Il metodo prevede la costruzione di gallerie che avanzano man mano che il carbone è portato in superficie, e che possono estendersi per alcuni chilometri e che, generalmente, avanzano di 4-5 m al giorno con una produzione di circa 5.000 t di carbone. Sul fronte d’abbattimento è disposta una serie di congegni meccanici che aiutano il minatore a rimuovere il carbone mentre un sistema trasportaatore porta il carbone estratto ad una stazione di carico sotterranea.
La coltivazione in sotterraneo è caratterizzata da alta intensità di manodopera, dalla pericolosità del lavoro (e dal continuo miglioramento della sicurezza e della salubrità delle miniere) che determinano costi di produzione maggiori. Il ricambio dell’aria all’interno della miniera, questo avviene tramite enormi ventilatori posti all’imbocco della miniera che spingono l’aria nei pozzi.
Trasformazione in gas
Di recente sia in Europa, che nell' Unione sovietica e negli Stati Uniti, si è intrapresa una nuova strada e cioè il tentativo di portare alla superficie i componenti gassosi del carbone operando sottoterra la trasformazione in gas.
Per questo processo si scava un foro in direzione dello strato di carbone altrimenti inutilizzabile e si dà fuoco al carbone. Un tubo immette l'aria dalla superficie e un altro tubo porta alla superficie i gas caldi prodotti dalla combustione. Il problema legato a questa tecnica è l’incertezza del controllo dei processi e l’esito finale dell’operazione di coltivazione. Questi processi, benché ancora in fase di sperimentazione, potranno forse consentire lo sfruttamento a profondità superiori di quelle attuali.
Perchè non dovremmo usare il carbone...
La combustione del carbone, come quella di ogni altro composto del carbonio, produce: anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio, anidride solforosa e ossidi di azoto.
Il problema principale è l'anidride solforosa che reagisce con l'acqua, formando acido solforoso. Quando l'anidride solforosa viene rilasciata nell'atmosfera, reagisce con il vapore acqueo e può accadere che torni in superficie sotto forma di pioggia acida. Per evitare questo, alcune moderne centrali sono equipaggiate con sistemi di desolforazione e denitrificazione.
Ma oltre all'anidride solforosa le centrali a carbone emettono monossido di carbonio e di metalli pesanti. Il monossido di carbonio sappiamo avere un ruolo ormai accertato nella genesi delle malattie cardiovascolari. Inoltre tra le emissioni troviamo metalli pesanti tra i quali nichel, cadmio, vanadio, piombo, mercurio, cromo e arsenico, di alogeni, in particolare fluoro, cloro e i loro composti, e di materiali naturalmente radioattivi. La combustione del carbone è considerata tra le principali fonti di emissione antropogenica di Arsenico e Mercurio.
Perchè allora viene utilizzato nelle centrali?
I vantaggi nell'utilizzo del carbone in Europa sono:
- approvvigionamento energetico interno
- ampia disponibilità
- competitività dei costi
- sicurezza nella movimentazione, trasporto e uso
Il Gas naturale
A partire dal 1950, si è avuto uno sviluppo straordinario delle tecniche di estrazione, di trasporto e di utilizzo del gas naturale, che ha portato ad una vera rivoluzione del mercato dei gas combustibili.
Il gas naturale ha origini e meccanismi di formazione simili a quelli del petrolio e si trova in giacimenti che possono essere in prossimità di quelli del grezzo, oppure lontani da essi. L’estrazione del petrolio comporta spesso l’ottenimento di “gas associato” che deve essere separato dal grezzo liquido, prima che questo possa essere introdotto nei serbatoi di trasporto (petroliere) o negli oleodotti.
Il syngas
Il Gas può essere ottenuto anche mediante diversi processi chimico- fisici (e viene detto "Syngas"). Ad esempio viene ottenuto insufflando, in gasogeni, vapor d'acqua su carbone rovente. I bruciatori dove avviene il suddetto processo sono detti gassogeni. Il risultatato, però, è un gas dal potere calorifico nettamente minore rispetto al gas naturale.
Il GPL
Il GPL, e cioè il "gas di petrolio liquefatto" (in inglese: LPG = liquified petroleum gas o low pressure gas) si ottiene dal prodotto di testa della distillazione primaria del petrolio o dalla stabilizzazione dei gas naturali umidi.
Impieghi del gas
Le industrie fanno ricorso al gas naturale non solo per la produzione di energia elettrica o per scaldare o rinfrescare gli ambienti, ma anche per rendere più efficienti, economici ed ecologici i processi di produzione.
Qualche esempio: nell'industria alimentare viene usato per la tostatura del malto e del caffè, nella cottura e stagionatura dei salumi, nella cottura di prodotti da forno (pane, grissini, dolciumi), per la produzione del ferro e delle sue leghe, ghisa e acciaio; per la produzione di piastrelle, di vasellame e ceramica artistica, per la produzione di laterizi (mattoni, tegole) o di sanitari da bagno.
Con il gas si producono le lastre di vetro, si usa per saldare i materiali preziosi, si producono il metanolo e l'ammoniaca (una curiosità: la produzione dell'ammoniaca, da sola, consuma circa il 5% di tutto il gas naturale prodotto ogni anno nel mondo).
Estrazione del gas
Spesso il gas naturale si estrae dagli stessi giacimenti di petrolio. Come il petrolio, infatti, il gas naturale è il risultato delle trasformazioni subite dalla sostanza organica depositatasi sul fondo di antichi mari e laghi (bacini sedimentari). Si parla di "gas associato" quando il gas naturale è disciolto nel petrolio o costituisce lo strato di copertura del giacimento petrolifero; e di "gas non associato", quando il giacimento è costituito quasi esclusivamente da gas naturale (ad esempio, i grandi giacimenti del Mare del Nord e dell'Olanda).
Estrarre il gas naturale dal sottosuolo è abbastanza facile. Quasi sempre si trova intrappolato insieme al petrolio sotto uno strato di roccia. Date le grandi pressioni, non appena si finisce di trivellare il gas schizza fuori da solo e occorre solamente “infilarlo” in un tubo e indirizzarlo verso le sue destinazioni finali o nei centri di stoccaggio.
Lo stoccaggio del gas
Lo stoccaggio raramente avviene in serbatoi come quelli che si costruiscono per contenere il petrolio, ma piuttosto in giacimenti naturali esauriti dove un tempo c’era gas naturale, olio o acqua e che vengono oggi riutilizzati come veri e propri “magazzini” per il gas.
Trattamento e trasporto
Il trattamento del gas consiste nel separare il metano dagli altri idrocarburi gassosi come propano, butano ed etano. Questi ultimi vengono immessi in bombole per uso domestico da 10-15 chilogrammi o più grandi per uso industriale. Il metano, invece, viene distribuito attraverso la rete dei metanodotti.
Il metano viene trasportato allo stato gassoso per mezzo di gasdotti, oppure con navi metaniere sulle quali viene caricato allo stato liquido (GNL o Gas Naturale Liquefatto).
I gasdotti permettono il trasporto d'ingenti quantità di gas, direttamente dal luogo di produzione a quello di consumo, senza bisogno di alcuna operazione di carico e immagazzinamento. Scelto il tracciato del gasdotto si tratta di scavare una trincea e di calarci all'interno dei tubi di acciaio saldati tra loro. La tubatura verrà poi rivestita con bitumi, catrami e resine sintetiche per essere protetta dagli agenti che possono degradarla.
Tutta l’Europa è attraversata da lunghi gasdotti di cui non si nota la presenza perché il loro tragitto è sotterraneo. Quando non è possibile effettuare il trasporto tramite metanodotto (perché le distanze da superare sono eccessive o bisogna attraversare un tratto di mare troppo lungo) il metano viene liquefatto e trasportato con navi metaniere, con costi di trasporto ovviamente superiori.
Utilizzo del gas in Italia
Il gas naturale genera circa il 58% della produzione termoelettrica in Italia.
Il petrolio
Il petrolio è una sostanza fossile liquida, più o meno densa e viscosa, di colore variabile dal bruno al nero, costituita da una miscela estremamente complessa di composti, prevalentemente idrocarburici.
Diverse sono le teorie sulle origini del petrolio, ma quella più plausibile sostiene che il petrolio sia il prodotto delle trasformazioni chimiche, fisiche e microbiologiche subite dai depositi di sostanze organiche costituite dai resti di organismi sia animali che vegetali. Tali trasformazionigenerano prodotto gassosi e liquidi, che vengono intrappolati in strati di argille impermeabili dove si raccolgono dando luogo a giacimenti di petrolio e/o di gas naturale.
All'estrazione il petrolio viene detto "crude oil" oppure petrolio grezzo o semplicemente“grezzo” e l'unità di misura è tipicamente il barile che corrisponde a 159 (litri). Un'altra unità di misura è l'energia generata dalla combustione ideale di una tonnellata di petrolio (1000 kg) che produce 10000000 kcal, ossia 1 TEP.
Estrazione
Il ciclo produttivo del petrolio e dei prodotti derivati dal petrolio attraversa differenti fasi produttive, raggruppate tradizionalmente in tre insiemi di processi:
- upstream: comprende l'insieme delle procedure da svolgere allo scopo di ricavare il petrolio greggio dal sottosuolo: la ricerca del giacimento (esplorazione), la predisposizione di pozzi per il sollevamento del petrolio (perforazione) e il processo di sollevamento del petrolio dal sottosuolo (estrazione);
- midstream: comprende le procedure relative al trasporto del petrolio dal sito di estrazione al sito di raffinazione e lo stoccaggio del petrolio;
- downstream: comprende i processi di trasformazione del petrolio (raffinazione) allo scopo di ottenere i prodotti derivati destinati al commercio e la loro distribuzione e vendita.
L’estrazione del grezzo dai giacimenti si esegue mediante trivellazione con un’asta rotante, costituita da una serie allungabile di tubi in acciaio portante all’estremità inferiore uno “scalpello” a diamanti o a rulli conici. Attraverso i tubi che compongono l’asta rotante viene pompata acqua che, fuoruscita dallo scalpello, risale nell’intercapedine tra i tubi e le pareti del pozzo portando in superficie il materiale lapideo abraso dallo scalpello sotto forma di fango fluido. In genere, quando lo scalpello raggiunge il giacimento, la pressione del gas presente nel pozzo è sufficiente a far sgorgare il grezzo in superficie.
Con il tempo la pressione si abbassa e diventa necessario aspirare il petrolio mediante pompe a stantuffo azionate dai tipici bilancieri che caratterizzano i campi di estrazione.
Trattamenti
Una volta estratto il petrolio grezzo si dovranno predisporre dei trattamenti per la separazione dell’acqua che lo accompagna, in parte sotto forma di emulsione, e dei solidi sospesi. Esso deve essere inoltre “stabilizzato”, cioè separato dal così detto “gas associato”, costituito dagli idrocarburi leggeri in esso disciolti, che potrebbero dar luogo ad esplosioni o incendi liberandosi durante il trasporto in oleodotti o petroliere. Tutte queste operazioni si eseguono mediante decantazione, centrifugazione, percolazione attraverso letti sabbiosi, riscaldamento, ecc. Il trasporto del grezzo agli impianti di raffinazione si effettua in oleodotti (tubi in acciaio del diametro di 50-90 cm e lunghezza talvolta superiore ai 3000 Km, nei quali il grezzo viene fatto fluire da stazioni di pompaggio dislocate lungo il percorso con velocità di 1-2 m/s) o in petroliere.
Raffinerie
Non esistono due petroli identici e talvolta all'interno dello stesso giacimento la composizione tende a variare nel tempo o in funzione della localizzazione del punto di estrazione. Una volta che il petrolio arriva nelle raffinerie i diversi tipi di petrolio vengono trasformati in prodotti di uso comune e composizione standard. Le operazioni attraverso le quali il grezzo petrolifero viene trasformato sono molteplici e di diversa natura.
La distillazione rappresenta la prima fase della raffinazione del petrolio greggio. Il petrolio inizia a vaporizzare a una temperatura leggermente inferiore ai 100 °C. Il primo materiale che si estrae dal petrolio greggio sono i gas incondensabili, come l'idrogeno, il metano e l'etano; successivamente si estrae la parte dei gas di petrolio liquefatti (GPL), poi la frazione destinata a diventare benzina (le benzine sono le miscele di idrocarburi, con numero di atomi di carbonio generalmente compreso tra 5 e 12 che si utilizzano come carburanti per motori a scoppio), seguita dal cherosene e dal gasolio. Il rimamente viene classicamente trattato con soda caustica o acido solforico, e successivamente distillato in corrente di vapore, ottenendo oli combustibili e oli lubrificanti oltre a paraffina solida e asfalto. come residui solidi.
Prezzo del petrolio
Il prezzo del petrolio viene influenzato da fattori politici, economici e sociali dell’intero palcoscenico internazionale. Il principale attore che influenza i prezzi è OPEC, l'organizzazione dei principali paesi esportatori di Petrolio. Sul mercato sono quotati sia il "petrolio WTI" (West Texas Intermediate), sia il Brent Blend.
In entrambi i casi il prezzo del petrolio e la quotazione avvengono in dollari. Il Brent è quello più diffuso ed è il petrolio estratto nel Mare del Nord: determina il 60% del prezzi sul mercato, malgrado una produzione limitata. Il WTI è utilizzato principalmente per quotare petroli prodotti in Nord e Sud America.
Recentemente uno dei fattori che ha maggiormente condizionano l’andamento del mercato del petrolio è la domanda da parte dell’Asia che è diventata un grande consumatore di petrolio.
Nel grafico è evidente il crollo del prezzo del petrolio durante il lockdown imposto per limitare la diffusione del covid 19. Il blocco totale della domanda e l'impossibilità di fermare l'estrazione ha generato la necessità di usufuire di depositi di stoccaggio presto divenuti insufficienti, con il prezzo che è sceso violentemente in mancanza di compratori.
L'energia nucleare
L'energia nucleare deriva da una reazione di fissione nucleare, autoalimentata e controllata, che avviene in una centrale nucleare al fine di generare vapore a temperatura e pressione elevate. Il vapore viene poi diretto ad alimentare turbine collegate ad alternatori.
Il procedimento di fissione (tecnologia su cui si basano tutte le centrali oggi funzionanti) si basa sulla scissione di atomi pesanti mediante bombardamento con neutroni mentre il procedimento di fusione consiste nell’unione di due atomi leggeri, trizio e deuterio, che danno luogo a un nucleo di elio e un neutrone, liberando un’enorme quantità di energia termica.
La fusione risolverebbe definitivamente il problema più importante di una centrale nucleare e cioè la formazione di scorie radioattive e lo smaltimento dell'impianto al termine del ciclo di vita della centrale, quantificabile intorno ai 30-40 anni. Il problema è dovuto alla durata secolare dei decadimenti radioattivi, per cui l'unica opzione attuale è lo stoccaggio in sicurezza nella speranza di soluzioni future. La questione delle scorie annulla i vantaggi economici dovuti al basso costo del combustibile in rapporto alla potenza prodotta.
Ma esiste un secondo, ancora più grave problema: una volta innescata la fissione nucleare si liberano enormi quantitativi di energia ed uno sviluppo incontrollato della reazione potrebbe provocare la fusione del nocciolo con temperature elevatissime.
I due incidenti più gravi di questo tipo, con dispersione in ambienti di materiale radioattivo e conseguenze per la salute pubblica, sono successe nei reattori di Chernobyl (1986) e di Fukushima (2011).
L'energia nucleare riveste nei paesi industrializzati un ruolo fondamentale nel soddisfacimento del fabbisogno di energia elettrica in condizioni di sostenibilità economica e ambientale. Con l'incidente di Fukushima nel 2011, la produzione elettrica da nucleare ha avuto un calo per gli "stress tests" effettuati a livello mondiale sugli impianti funzionanti. Solo recentemente in Giappone è stata riattivata la centrale di Sendai, sottoposta a regole di sicurezza nuove e più severe.
A seguito dell'incidente e degli "stress tests" c'è stato un calo nella generazione elettronucleare, che é passata da 2600 TWh del 2010 al minimo storico di 2360 TWh nel 2012. Già nel 2014 c'è stata una ripresa con 2410 TWh per arrivare ai 2635 TWh del 2017 pari al 10% dell’energia mondiale.
La crescita è attualmente trascinata dalla Cina, che prevede un tasso dell’11% per anno e che ha a piano di aggiungere da oggi al 2035 circa 1000 TWh (più o meno equivalenti a mettere in servizio un reattore da 1 GW ogni 3 mesi per i prossimi 20 anni. La potenza installata in Europa ed in USA andrà a ridursi, per il decommissioning delle unità più vecchie, e non sembra ci siano le condizioni politiche ed economiche per una nuova crescita del nucleare.
Energia idroelettrica
Abbiamo già detto come l'energia idraulica sia riconducibile al sole: è l'irradiamento solare che provoca l'evaporazione superficiale e che genera la ciclicità delle precipitazioni atmosferiche e quindi il fluire dei fiumi verso il mare.
Una centrale idroelettrica è il complesso di opere e macchinari che raccoglie volumi d’acqua da una quota superiore ad un’altra inferiore allo scopo di sfruttare l’energia potenziale idraulica, che viene trasformata in energia meccanica (e quindi in energia elettric) utilizzando il salto disponibile.
A questo fine si costruisce prima un’opera di sbarramento e captazione delle acque a quota più alta, poi dei condotti per il convogliamento delle acque ad un gruppo di turbine ed alternatori. Una volta ottenuta l'energia l'acqua viene, poi, restituita al fiume.
Le opere di ingegneria necessarie per costruire gli sbarramenti ed i condotti hanno una durata di vita superiore al secolo, per cui gli importanti costi iniziali vengono tranquillamente ammortizzati.
Classificazione degli impianti idroelettrici
Per quanto riguarda la taglia, si è soliti ricorrere alla seguente classificazione, suggerita anche da parte dell’Unione Europea in alcuni documenti ufficiali:
- micro-impianti: potenza < 100 kWp;
- mini-impianti: 100 kWp – 1 MWp
- piccoli impianti: 1 – 10 MWp
- grandi impianti: potenza > 10 MWp.
In Italia l'installazione dei grandi impianti (> 10 MW) è ormai praticamente impossibile in quanto sono stati sfruttati tutti i salti idraulici che offre la conformazione del territorio. Invece i piccoli impianti (mini e micro) offre ancora opportunità future.
Oltre alla dimensione gli impianti possono essere classificati in base alla tipologia impiantistica ed in particolare:
- impianti ad acqua fluente: sono realizzati a fianco di grandi fiumi e la portata dipende dalla quantità d'acqua disponibile nel fiume;
- impianti a deflusso regolato o a bacino: sono provvisti di un bacino con una certa capacità di invaso in modo da poter regolare la quantità di flusso addotta in turbina; questo tipo di impianti è collocato principalmente nei tratti superiori dei fiumi (montani).
- Impianti ad accumulazione per pompaggio (a producibilità artificiale): l'acqua viene innalzata artificialmente, sfruttando il costo minore dell'elettricità in certi momenti della giornata, per divenire una "riserva" di energia da utilizzare nei momenti in cui c'è più richiesta.
La produzione di energia dipende da due fattori principali, l'altezza della caduta o salto (head) e la portata d’acqua (flow rate). Quest'ultima è il volume di acqua che attraversa una determinata sezione del corso d’acqua nell’unità di tempo espressa in metri cubi al secondo e dipende da fattori climatici che generano le precipitazioni piovose in quell'ambiente.
Impianti ad acqua fluente
Tra gli impianti a producibilità naturale, in quelli ad acqua fluente la caduta idraulica è realizzata prelevando da un corso d'acqua mediante opportune opere di sbarramento che consistono in dighe, traverse e canali. La centrale può essere situata in prossimità dello sbarramento oppure, se la pendenza del corso d'acqua è convenientemente elevata, anche molto a valle dello sbarramento stesso. Gli impianti ad acqua fluente sono pertanto caratterizzati dall’avere cadute modeste (massimo una decina di metri) e essere fortemente influenzati dal regime delle portate.
Impianti a bacino
Gli impianti a bacino prevedono invece uno sbarramento a monte, mediante una diga, di una parte della vallata per realizzare un invaso di raccolta. Dall'invaso l'acqua raggiunge la centrale mediante un sistema di gallerie, canali e condotte forzate. Con questo tipo di impianto si possono utilizzare cadute molto elevate e si può decidere la portata necessaria per soddisfare la richiesta della rete elettrica.
Un impianto a bacino è, quindi, un vero e proprio accumulatore di energia e permette di fungere da impianto di punta, ossia rispondere alle richieste di picchi di potenza quando necessario.
Energia Geotermica
L'energia geotermica rappresenta il calore contenuto all'interno del nostro pianeta. Questa energia è all'origine di molti fenomeni geologici di scala planetaria (tutti ricordiamo la "tettonica a zolle"). Nell'uso comune il termine "energia geotermica" viene utilizzato per indicare quella parte di energia presente nel sottosuolo che potrebbe essere sfruttata dall'uomo.
Il fatto che la terra diventi più calda mano a mano che si scende in profondità è un fenomeno ben noto ai minatori: in alcune miniere e gallerie profonde si raggiungono temperature al limite della sopravvivenza umana. di materiali più caldi in prossimità della superficie (fuoriuscita) da zone profonde. Il gradiente geotermico dà la misura dell’aumento di temperatura con la profondità. Sino alle profondità raggiungibili con le moderne tecniche di perforazione, il gradiente geotermico medio è 2,5°-3°C/100 m.
Di conseguenza, se la temperatura nei primi metri sotto la superficie, che corrisponde, con buona approssimazione, alla temperatura media annua dell’aria esterna, è 15°C, si può prevedere che la temperatura sia 65°-75°C a 2000 metri di profondità. A 3.000 metri la temperatura raggiunge i 100°C e via di seguito.
Il gradiente termico non è uguale ovunque, in alcune regioni può essere sensibilmente maggiore rispetto a quello medio.
Nel mondo l’energia geotermica produce circa 70 TWh (2015) di cui 5,6 TWh in Italia (8% del mondo), mediante una potenza installata di circa 12 GW.
I sistemi per ottenere energia geotermica sono caratterizzati dalla presenza di acqua e/o vapore in bacini sotterranei riscaldati da rocce ignee a temperatura elevata. Gli impianti a ciclo diretto o richiedono fluidi con una temperatura di almeno 150°C e sono generalmente del tipo "a contropressione", con il vapore, proveniente direttamente dai pozzi che passa attraverso la turbina ed è poi scaricato nell’atmosfera.
Energia da Biomasse: legna, pellets, cippato
Il legno è la più antica risorsa naturale che l'umanità ha utilizzato per riscaldarsi. Il termine più corretto da utilizzare, però, non è legno bensì "biomassa". Con questo termine si amplia il numero di risorse che arriva a comprendere tutte le sostanze di origine biologica in forma non fossile.
Esempi di biomassa sono:
- materiali e residui di origine agricola e forestale,
- prodotti secondari e scarti dell’industria agroalimentare,
- reflui di origine zootecnica, ma anche i rifiuti urbani (in cui la frazione organica raggiunge, mediamente, il 40 % in peso)
- alghe
- specie vegetali espressamente coltivate per essere destinate alla conversione energetica
La definizione più corretta di Biomassa è: "la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, compresa la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde urbano nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Come si crea la biomassa?
Tramite il processo di fotosintesi clorofilliana, i vegetali utilizzano l’apporto energetico dell’irraggiamento solare per convertire l’anidride carbonica atmosferica e l’acqua nelle complesse molecole di cui sono costituiti o che compaiono nei loro processi vitali: carboidrati, lignina, proteine, lipidi, oltre a un numero praticamente illimitato di prodotti secondari di ogni tipo, secondo la reazione Acqua+ Anidride carbonica = Zuccheri e ossigeno).
La fotosintesi avviene grazie alla parte visibile dello spettro solare e grazie alla fotosintesi, sulla superficie terrestre viene assorbita una quantità enorme di anidride carbonica, stimata complessivamente in circa 200 Gton all’anno. Per capirci l'equivalente in energia di 70 miliardi di tonnellate di petrolio, circa 10 volte l’attuale fabbisogno energetico mondiale. Purtroppo, per quanto elevata, la quantità di anidride carbonica intrappolata è inferiore rispetto a quella prodotta dall'uomo sul pianeta.
Tipi di biomasse
Le biomasse possono essere inizialmente suddivise in due categorie:
- residuali (Residui Organici)
- non residuali, derivanti cioè da apposite colture energetiche.
Le biomasse residuali possono essere classificate in funzione del comparto di provenienza:
- agricolo: residui colturali provenienti dall’attività agricola e dalle colture dedicate di specie lignocellulosiche;
- forestale e agroforestale: residui delle operazioni selvicolturali o delle attività agroforestali, come ad esempio paglie, potature, ramaglie, cortecce, etc.;
- industriale: residui provenienti dalle industrie del legno o dei prodotti in legno e dell’industria della carta, nonché residui dell’industria agroalimentare (ad esempio vinacce, sanse, scarti vegetali, etc.);
- zootecnico: reflui biotecnici per la produzione di biogas;
- rifiuti urbani: residui delle operazioni di manutenzione del verde pubblico e la sola frazione organica di rifiuti solidi urbani.
Le biomasse non residuali, derivanti cioè da coltivazioni energetiche, sono a loro volta classificabili in tre tipologie principali:
- colture alcoligene: caratterizzate da un elevato contenuto zuccherino (come la canna da zucchero, il sorgo zuccherino, la barbabietola da zucchero, il mais, il frumento, etc.) dalle quali si produce etanolo;
- colture oleaginose: contraddistinte da un elevato contenuto di olio vegetale, che può essere utilizzato tal quale o trasformato in biodisel;
- colture ligno−cellulosiche: caratterizzate da elevate produzioni di sostanza secca, che può essere destinata a diversi utilizzi energetici (specie legnose perenni come il pioppo, la robina, etc., specie erbacee perenni oppure specie erbacee annuali).
Le biomasse possono essere anche suddivise in
- lignee ed
- erbacee
Le coltivazioni energetiche erbacee a loro volta possono essere annuali, come il girasole, la colza, il sorgo da fibra, il kenaf, oppure perenni, come la canna comune ed il miscanto. Le coltivazioni energetiche legnose sono costituite da specie legnose selezionate per l’elevata resa in biomassa e per la capacità di ricrescita dopo il taglio; i boschi cedui tradizionali e le siepi alberate ne costituiscono un esempio.
Per quanto riguarda le caratteristiche qualitative della biomassa, si distinguono colture oleaginose (ad es. girasole, colza), alcooligene (sorgo zuccherino, barbabietola da zucchero, cereali), lignocellulosiche.
La biomassa è una risorsa rinnovabile?
Le biomasse si possono considerare risorse primarie rinnovabili e, quindi, inesauribili nel tempo, purché vengano impiegate ad un ritmo complessivamente non superiore alle capacità di rinnovamento biologico. In realtà le biomasse non sono illimitate quantitativamente, ma per ogni specie vegetale la disponibilità è condizionata dalla superficie ad essa destinata, nonché da vincoli climatici ed ambientali che tendono a limitare in ogni regione le specie che vi possono crescere convenientemente.
Come vengono utilizzate le biomasse?
I processi utilizzati attualmente per l’utilizzo energetico delle biomasse sono riconducibili a due categorie:
- processi termochimici ,
- processi biochimici.
All’ interno di questi processi si suddividono le tecnologie attualmente disponibili che, a eccezione della combustione diretta, consistono in pretrattamenti mirati a sfruttare fino in fondo il materiale disponibile, ad aumentare la resa energetica, a migliorare la praticità di impiego e le caratteristiche di stoccaggio e trasporto.
In particolare: i processi di conversione termochimica come la combustione, la gassificazione e la pirolisi, sono basati sull’azione del calore, che permette le reazioni chimiche necessarie trasformare la materia in energia; i processi di conversione biochimica come la fermentazione alcolica e la digestione anaerobica, consentono di ricavare energia attraverso reazioni chimiche dovute alla presenza di enzimi, funghi e altri microrganismi che si formano nella biomassa mantenuta in particolari condizioni.
Come avviene la combustione della biomassa
Premesso che ci sono diversi tipi di processi termochimici (1. combustione diretta; 2. carbonizzazione; 3. pirolisi; 4. gassificazione; 5. steam explosion) il più conosciuto è la combustione diretta.
Vediamo allora che cos'è e come avviene.
La combustione consiste in una reazione chimica di ossidoriduzione avente come reagenti un combustibile (contenente gli elementi che subiscono ossidazione) ed un comburente (tipicamente l’ossigeno contenuto nell’aria). I risultanti di questa reazione sono solitamente anidride carbonica, acqua e calore.
La reazione tra il combustibile e il comburente non è spontanea ma avviene ad opera di un innesco esterno. L’innesco può essere rappresentato ad esempio da una fonte di calore o da una scintilla e rappresenta l’energia di attivazione necessaria alle molecole di reagenti per iniziare la reazione e deve essere fornita dall’esterno. In seguito l’energia rilasciata dalla reazione stessa ne rende possibile l’autosostentamento, senza ulteriori apporti energetici esterni. Le temperature raggiunte nella combustione sono molto elevate, dell’ordine dei 2000 °C, e quindi il calore generato può essere utilizzato per la generazione di vapore a scopi termoelettrici o per altri usi industriali.
Le fasi della combustione
La combustione del legno avviene essenzialmente in tre stadi, funzione della temperatura del processo:
- Essiccazione (100°C)
- Degradazione (200°C) in cui il legno è sottoposto ad una fase di degradazione termica che porta all’evaporazione della sua componente volatile. Questa componente rappresenta in termini ponderali oltre il 75% del legno, perciò si può dire che la sua combustione significa principalmente la combustione dei gas che lo compongono.
- Combustione (Ossidazione del carbonio tra 600-1000°C)
Le caldaie a legna
Nelle caldaie a legna di minori dimensioni queste fasi avvengono separatamente mentre, specie nelle caldaie di maggiore taglia, con alimentazione automatica della griglia mobile, questi processi avvengono in diverse sezioni della stessa griglia. Tuttavia, negli apparecchi del primo tipo esiste una separazione anche temporale delle fasi di evaporazione dei volatili (pirolisi) e della ossidazione di questi (combustione).
La mancanza di adeguate condizioni causa la combustione incompleta del legno e quindi aumentano le emissioni nocive. La combustione incompleta è causata principalmente dalle seguenti condizioni negative: - inadeguata mescolanza tra aria e combustibile nella camera di combustione, una carenza complessiva di ossigeno disponibile, una temperatura di combustione troppo bassa.
I prodotti più idonei per una caldaia a legna sono il legno, meglio se in cippato o pellet, paglie di cereali, residui di raccolta di legumi secchi, residui legnosi di potatura di piante e piante da frutto.
Il pellet
Il pellet, che abbiamo imparato ormai a conoscere tutti, è quel combustibile ricavato dalla segatura, quindi legno, essiccata. La norma UNI EN 14588 lo definisce come "biocombustibile addensato, generalmente in forma cilindrica, di lunghezza casuale tipicamente tra 5 mm e 30 mm, e con estremità interrotte, prodotto da biomassa polverizzata con o senza additivi di pressatura".
Viene utilizzato sia nelle caldaie apposite che in stufe ad aria o ad aria-acqua.
Le caldaie automatiche a pellet sono caratterizzate da focolari sotto-alimentati e a caricamento laterale (con coclea e/o spintore) e da focolari per caduta dall’alto. Un’ulteriore variante è rappresentata dalla griglia rotativa, a ribaltamento e a rullo. Questo tipo di griglia è stata sviluppata per ottenere lo scuotimento del letto di braci e ottenere così la rimozione delle ceneri con un conseguente miglioramento del processo di combustione nella sua fase finale (in modo da ottenere una seconda combustione dei residui legnosi).
Tali dispositivi sono particolarmente efficaci quando si impiegano combustibili con elevato contenuto di cenere, come ad esempio pellet di vite e pellet di potature e pellet di miscato. Le caldaie a pellet sono impiegate principalmente in ambiente urbano e suburbano a servizio di singole abitazioni e piccoli condomini. Le caldaie con focolare sotto-alimentato possono avere potenze comprese fra 10 kW e 2,5 MW. Quelle con caricamento laterale da 15-25 kW fino ad alcuni MW e quelle con focolare alimentato a caduta da 6-15 kW fi no a 30 kW.
A differenza delle caldaie con focolari sottoalimentati e a caricamento laterale che possono prevedere l’impiego sia di pellet che di cippato con pezzatura costante e contenuto idrico basso, le caldaie con focolare a caduta possono essere alimentate esclusivamente a pellet.
Il cippato
Anche il cippato, come il pellet, deriva dagli scarti del legno, ma non viene trattato come il pellet. Questo si presenta come scagliette di piccole dimensioni, da pochi millimetri ad alcuni centimetri. La produzione di scarto dalla quale viene prodotto il cippato deriva da residui di segherie, potature, scarti boschivi, ecc. Anche per il cippato esistono delle apposite caldaie che ne permettono un utilizzo efficiente e conveniente per aziende agricole dove vi siano molti residui di potatura (si pensi, per esempio, alle cantine vinicole). Le caldaie a cippato più comuni sono, quelle a griglia con alimentazione laterale in cui l’alimentazione del cippato avviene con l’ausilio di una coclea o di uno spintore idraulico, particolarmente raccomandabile nel caso di impiego di cippato molto grossolano.
L'energia eolica
L’energia eolica è stata largamente utilizzata sin dall’antichità in svariate applicazioni quali la navigazione a vela, la ventilazione dei cereali e l’essiccazione dei prodotti dell’agricoltura e della pesca.
I primi mulini a vento comparvero nelle aree considerate la culla della civiltà: Mesopotamia, Cina, Egitto. È tramandato che il re di Babilonia Hammurabi progettò, nel 17° secolo a.C., di irrigare la pianura mesopotamica per mezzo dei mulini a vento. Si trattava probabilmente di mulini ad asse verticale simili a quelli tuttora in funzione in quei paesi.
In Europa i mulini a vento apparvero in ritardo, nel Medioevo al tempo delle Crociate; essi erano di concezione del tutto diversa rispetto a quelli mesopotamici, con ruota ad asse orizzontale e di dimensioni maggiori, tecnologicamente più complessi e di maggior rendimento. I mulini furono usati nel corso dei secoli in tutta Europa per i più svariati usi, come la macinazione dei cereali, la spremitura delle olive, il pompaggio dell’acqua, l’azionamento di segherie, cartiere, tintorie, industrie del tabacco.
Diffusione dei "mulini che generano elettricità"
I primi generatori di energia elettrica azionati dal vento (turbine eoliche) risalgono agli inizi del 1900 e nel 1914 erano già in funzione diverse centinaia di macchine di potenza compresa tra 3 e 30 kW.
Nel periodo tra le due Guerre Mondiali fu compiuta una rapida evoluzione sul piano tecnologico, con la costruzione di aerogeneratori di potenze crescenti da 40-80 kW fino ai 1250 kW; in alcuni paesi, come la Danimarca, si arrivò a soddisfare una consistente parte del fabbisogno di energia elettrica nazionale con generatori a vento di media potenza ubicati in prossimità di fattorie e villaggi.
Come nasce il vento?
La Terra cede in continuazione all’atmosfera il calore ricevuto dal Sole, ma non in modo uniforme. Nelle zone in cui viene ceduto meno calore (zone di aria fredda) la pressione dei gas atmosferici aumenta, mentre dove viene rilasciato più calore, l’aria si riscalda e la pressione dei gas diminuisce. Si crea pertanto una macrocircolazione dovuta ai moti convettivi: masse d’aria si riscaldano, diminuiscono la loro densità e salgono, richiamando aria più fredda che scorre sulla superficie terrestre.
Questo moto di masse d’aria calde e fredde produce le aree di alta pressione e le aree di bassa pressione stabilmente presenti nell’atmosfera, influenzate anche dalla rotazione terrestre.
Poiché l’atmosfera tende a ripristinare costantemente l’equilibrio di pressione, l’aria si muove dalle zone dove la pressione è maggiore verso quelle in cui è minore. Il vento è dunque lo spostamento di una massa d’aria, più o meno veloce, tra zone di diversa pressione. Tanto più alta è la differenza di pressione, tanto più veloce sarà lo spostamento d’aria e quindi tanto più forte sarà il vento.
Limiti dell'energia eolica
I principali limiti dell'utilizzo delle turbine eoliche stanno nella variabilità e nell’aleatorietà del vento. La direzione e l’intensità del vento, infatti, fluttuano rapidamente intorno al valore medio: si tratta della turbolenza (rapporto tra la deviazione standard della velocità del vento e la velocità media stessa). Quando si prende in considerazione un sito per l’installazione di una turbina eolica, è fondamentale valutare, quindi, l’entità reale della risorsa eolica ossia la direzione e la velocità del vento all’altezza del mozzo della turbina.
Va anche considerato che il vento è perturbato dalla natura del terreno, dal profilo orografico e dalla presenza di ostacoli (edifici, alberi, rocce, ecc.), motivo per cui vi sono grandi impianti eolici in mare, dove non vi sono ostacoli. Tuttavia i parchi eolici marini, detti anche off-shore, comportano un investimento superiore rispetto agli impianti on-shore per i maggiori costi derivanti dalle fondazioni subacquee e dall’installazione in mare; tale investimento si aggira intorno ai 3000/3500 €/kW contro i 2000/2500 €/kW degli impianti di grossa taglia su terraferma.
La ventosità varia anche al variare dell’altezza per questo vediamo come le pale possano avere altezze diverse a seconda dei siti.
Tipi di pale eoliche
Le turbine eoliche possono essere suddivise in base alla tecnologia costruttiva in due macro famiglie:
- turbine ad asse verticale
- turbina tipo Savonius
- turbina tipo Darrieus
- turbine ibride darrieus savonius
- turbine ad asse orizzontale
- turbine sopravento
- turbine sottovento
- a due o a tre pale
Il 99% delle turbine installate è ad asse orizzontale e a tre pale, per cui, di seguito, analizzeremo solamente questa tecnologia.
Turbina eolica ad asse orizzontale a tre pale
La turbina eolica ad asse orizzontale a tre pale è più diffuso rispetto al modello a due pale per due motivi:
- poiché la velocità di rotazione diminuisce al crescere del numero di pale (mentre la coppia aumenta), i rotori a due pale devono ruotare più velocemente rispetto a quelli a tre pale (numero di giri caratteristico 40 giri/min rispetto ai30 giri/min dei tripala) con la conseguenza che il rumore aerodinamico è maggiore
- Inoltre un rotore a due pale è soggetto a squilibri dovuti alla variazione del vento causate dall’altezza, a effetti giroscopici quando la navicella viene imbardata ed ha un momento d’inerzia variabile e minore quando le pale sono verticali rispetto a quando sono orizzontali. Per ovviare a ciò è generalmente provvisto di un mozzo oscillante che fa da contrappeso
Il componente più importante e delicato di un impianto eolico orizzontale a tre pale sono ovviamente le pale che devono interagire con il vento e devono avere un profilo tale da massimizzare l’efficienza aerodinamica. La struttura tipica di una pala si avvolge con un angolo complessivo di circa 25° tra l’inizio e l’estremità. Poiché le forze aerodinamiche variano col quadrato della velocità relativa, crescono rapidamente con la distanza dal mozzo ed è quindi importante progettare la porzione della pala vicino all’estremità al fine di avere una buona portanza ed una bassa resistenza aerodinamica.
Le pale sono realizzate con materiali leggeri, quali i materiali plastici rinforzati in fibra, con buone proprietà di resistenza all’usura. Le fibre sono in genere di vetro o alluminio per le pale di aerogeneratori medio-piccoli, mentre per le pale più grandi vengono utilizzate le fibre di carbonio nelle parti in cui si manifestano i carichi più critici. La superficie esterna della pala viene ricoperta con uno strato levigato di gel colorato, al fine di prevenire l’invecchiamento del materiale composito a causa della radiazione ultravioletta.
Quasi tutte le turbine montano dei freni meccanici lungo l’albero di trasmissione, in aggiunta al freno aerodinamico, che possono essere a disco o a frizione. I freni meccanici sono in grado di arrestare il rotore in condizioni meteorologiche avverse, oltre che svolgere la funzione di “freni di stazionamento” per impedire che il rotore si ponga in rotazione quando la turbina non è in servizio (per esempio per esigenze di manutenzione).
Classificazione in base alla potenza
Volendo fare una distinzione in base alla potenza degli aerogeneratori si hanno impianti così classificabili:
- micro-eolici per potenze inferiore a 20kW e costituito da impianti destinati principalmente all’alimentazione di utenze domestiche;
- mini-eolici per potenze tra 20 e 200kW con impianti prevalentemente destinati alla produzione e vendita dell’energia elettrica;
- eolici per potenze superiori a 200kW e prevalentemente costituiti da parchi eolici per l’immissione dell’energia prodotta nella rete di trasmissione
La cogenerazione
La cogenerazione nasce da un principio e cioè che molti impianti nel generare energia elettrica producono energia termica che viene dispersa in ambiente. I sistemi di cogenerazione prevedono il recupero in maniera utile di tutto o di parte di questo calore che deve necessariamente essere scaricato da un impianto motore termico. Pensiamo ad esempio ad un industria che potrebbe utilizzare il calore generato per riscaldare gli edifici.
Questa tipologia di impianti si dice siano in grado di effettuare una produzione combinata. Dunque, convertono energia primaria, di una qualsiasi fonte (solitamente l’energia primaria è quella di un combustibile, ad esempio il gas naturale), in energia elettrica ed in energia termica (calore), prodotte congiuntamente ed entrambe considerate utili. In inglese questi impainti vengono detti CHP (Combined Heat and Power).
Per un impianto cogenerativo è possibile definire una serie di indici prestazionali che danno informazioni oggettive circa la qualità dell’impianto e la sua capacità di sfruttamento dell’energia primaria introdotta (combustibile). Il rendimento elettrico di cogenerazione si indica con ?? + ?e, dove Qr è il calore recuperato che si somma alla produzione di Ee, l'energia elettrica.
Vantaggi della cogenerazione
I principali vantaggi legati all’utilizzo di un impianto cogenerativo in luogo di un sistema per la generazione separata di calore ed energia elettrica:
- Minor consumo di energia primaria grazie alla maggior efficienza del sistema: con impianti cogenerativi è possibile raggiungere indici EUF anche superiori a 0.8 (ovvero si riesce a sfruttare utilmente oltre l’80% dell’energia messa a disposizione dell’impianto), con conseguente minor consumo di combustibile a parità di servizio reso.
- Minori emissioni in atmosfera di gas climalteranti ed altre sostanze inquinanti: la migliore efficienza complessiva dei sistemi cogenerativi consente una riduzione nel consumo di combustibili e di conseguenza minori emissioni in atmosfera di gas climalteranti quali ad esempio la CO2 e di altre sostanze inquinanti che risultano dai processi di combustione.
- Riduzione delle perdite per trasmissione: l’applicazione della cogenerazione, essendo l’impianto di norma localizzato vicino all’utente finale, rende minime le perdite per la distribuzione e il trasporto dell’energia.
- Possibilità di diminuire i rischi di interruzione del servizio in quanto i sistemi cogenerativi possono rendere autonome le aziende o le abitazioni che li adottano. Questo vantaggio può diventare fondamentale in tutti quei contesti in cui una eventuale interruzione crei danni o disagi importanti.
Vincoli della cogenerazione
Perchè un impianto cogenerativo sia sfruttato in maniera opportuna è la contemporaneità delle utenze: la richiesta di energia termica ed elettrica devono essere contemporanee.
Inoltre va tenuta presenta la domanda di energia elettrica e termica che dovrebbero essere proporzionali e compatibili con la capacità dell'impianto: questo va tarato, insomma, sulla base della richiesta presunta in modo da evitare richieste di energia termica troppo elevate rispetto a quella prodotta oppure domande di energia termica o elettrica che si verificano in momenti differenti (disallineamento).
Tipi di impianti
In generale un sistema cogenerativo è costituito da un impianto motore primo, da un generatore elettrico che, mosso dall’impianto motore, è in grado di produrre elettricità, e da recuperatori di calore (scambiatori di calore).
Per quanto riguarda i motori primi, le tecnologie di base ad oggi maggiormente impiegate sono:
- impianti a vapore
- impianti turbogas
- motori alternativi a combustione interna (ciclo Diesel o ciclo Otto)
Energia solare
Come funziona il Sole?
Il Sole è la nostra stella più vicina, è costituito essenzialmente da idrogeno (circa il 74% della sua massa), elio (circa il 24-25% della massa) e altri elementi più pesanti presenti in tracce.
È classificata come una nana gialla di tipo spettrale G2 V: G2 indica che la stella ha una temperatura superficiale di circa 5 780 K (5507 °C), caratteristica che le conferisce un colore bianco, che però ci appare giallo a causa dello scattering (effetto di cambiamento di traiettoria) dell'atmosfera terrestre.
La V indica che il Sole, come la maggior parte delle stelle, è nella sequenza principale, ovvero in una lunga fase di equilibrio stabile in cui l'astro fonde, nel proprio nucleo, l'idrogeno in elio. Tale processo genera ogni secondo una grande quantità di energia (3,83 × 1026 J), emessa nello spazio sotto forma di radiazione e vento solare.
Radiazioni solari e vita sulla Terra
La radiazione solare, emessa fondamentalmente come luce visibile ed infrarossi, è quella che consente la vita sulla Terra fornendo l'energia necessaria ad attivare i principali meccanismi che ne stanno alla base; inoltre l'insolazione della superficie terrestre regola il clima e la maggior parte dei fenomeni meteorologici.
L’energia raggiante solare è anche all’origine di gran parte delle sorgenti energetiche storicamente utilizzate dall’uomo e cioè:
- energia termica derivante dalla combustione del legno: è noto che l’accrescimento dei vegetali è dovuto alla reazione di fotosintesi clorofilliana, alimentata energeticamente dalla radiazione solare;
- energia termica derivante dalla combustione di carbone, idrocarburi, gas naturale: tutte le riserve di questi combustibili esistenti sulla Terra si sono costituite a seguito di processi biochimici e chimico – fisici avvenuti sui vegetali ed animali morti nel corso delle ere geologiche; questi organismi viventi poterono crescere grazie all’energia solare;
- energia idroelettrica: la disponibilità di masse d’acqua dotate di energia potenziale di gravità è connessa al ciclo meteorologico delle acque, attivato dall’energia solare ed intermediato dal moto di rotazione terrestre;
- energia eolica: anche l’energia che compete alle masse d’aria atmosferica in movimento è in gran parte dovuta ai gradienti termici generati dalla radiazione solare;
- energia del moto ondoso: poiché il moto ondoso deriva dall’azione dei venti, anche per questa forma di energia vale quanto affermato per l’energia eolica
Quanta energia arriva dal Sole?
La Terra, avendo un raggio medio di circa 6,370 km, offre una superficie di captazione limitata, atta ad intercettare meno di un miliardesimo dell’energia solare emessa dal Sole. Pur costituendo una frazione trascurabile dell’energia totale, l’energia solare intercettata dalla Terra ha un valore enorme, se riferita alla scala delle energie necessarie per i fabbisogni umani. Essendo infatti la densità energetica incidente pari a circa 1350 W/m2, la potenza totale intercettata dalla Terra è pari a 1.710.000.000 GW.
Radiazioni solari e atmosfera
Nell’attraversamento dell’atmosfera terrestre, l’energia solare subisce una consistente riduzione per l’assorbimento gassoso, variabile con lo spessore d’aria attraversata; a parità di spessore, l’energia che arriva sulla superficie terrestre varia ulteriormente a seconda delle condizioni meteorologiche ed in particolare della presenza di vapor d’acqua in quota. L’atmosfera assorbe gran parte della radiazione ultravioletta e meno del 20% di questa raggiunge la superficie terrestre a livello del mare.
I problemi dell'energia solare: la discontinuità
L'energia solare disponibile sulla superficie terrestre è fortemente discontinua ed irregolare per le seguenti ragioni:
- l'alternanza del giorno con la notte;
- il coefficiente di trasparenza dell'atmosfera per l'energia raggiante solare dipende dalla composizione dell'aria, in particolare dal vapor d'acqua precipitabile e dall'inquinamento;
- le condizioni astronomiche e climatologiche si modificano nel corso delle stagioni;
- la massa d'aria attraversata dalla radiazione solare varia in funzione dell'altitudine sul livello del mare;
- la posizione geografica della località considerata.
Irragiamento solare nelle varie zone d'Italia (Norma Uni 10349)
Il valore medio annuale della radiazione solare globale su piano orizzontale (un parametro importante per la progettazione di un impianto solare) varia tra i 1.220 kWh/m2 della provincia di Bolzano e i 1.700 kWh/m2 della provincia dì Trapani, con un aumento considerevole da Nord a Sud ed in taluni casi con forti differenze a livello regionale. Ai fini pratici, quindi, le informazioni necessarie per lo sfruttamento dell’energia solare sono la radiazione globale media giornaliera, la media mensile e la media annuale dati che sono disponibili su specifici siti internet, anche se ai fini progettuali si fa riferimento alla Normativa UN 10349 nei quali sono riportai i valori di radiazione giornaliera media mensile delle rispettive province Italiane.
Tuttavia, i valori riportati dalle suddette fonti si riferiscono ad una superficie ricevente orizzontale, come ad esempio un tetto piano. Come sappiamo è invece interessante massimizzare il valore dell’energia captata nei diversi periodi inclinando la superficie ricevente.
Come massimizzare la ricezione dell'energia solare?
Per ottenere valori massimi di radiazione annuale media su una superficie, questa deve essere orientata verso SUD con un’inclinazione (Angolo formato dalla superficie con un piano orizzontale) pari a quella della latitudine locale (dai 45° di Milano ai 38° di Palermo), sottratta di circa 10. L’angolo di inclinazione che consente la massima resa nei mesi invernali è maggiore rispetto all’angolo d’inclinazione ottimale per i mesi estivi, a causa dei più bassi valori dell’altezza del sole nel periodo invernale.
Energia solare e sistemi passivi.
L'energia solare può essere sfruttata per riscaldare le case con sistemi passivi. Vediamo di che cosa si tratta.
L’impiego "passivo" dell’energia solare negli edifici (senza ausilio di mezzi meccanici di trasporto dei fluidi) si basa sull’interazione tra energia radiante incidente ed energia fornita agli ambienti interni.
Oggi le tecnologie solari passive si possono distinguere in:
- sistemi solari passivi a guadagno diretto:lo scambio termico prevalente è di tipo radiativo diretto, la radiazione solare entra nello spazio da riscaldare attraverso ampie superfici trasparenti (vetri), in sostanza il sole scalda gli ambienti tramite grandi vetrate orientate a sud;
- sistemi solari passivi a guadagno indiretto: in questo caso lo scambio termico prevalente è di tipo convettivo, quello radiativo è indiretto attraverso una parete di accumulo. Gli esempi più conosciuti sono il muro di Trombe ed il tetto d’acqua;
- sistemi solari passivi a guadagno semidiretto e isolato (lo scambio è di tipo radiativo indiretto, attraverso una massa che accumula anche per scambio convettivo, ma senza passaggio d’aria in ambiente: (facciate a doppia pelle, serre solari, collettori ad aria, camini solari o sistemi Barra – Costantini).
Vediamo i principali sistemi passivi.
Sistema passivo 1: Muro di Trombe
Nei sistemi con muro massivo la massa termica per l'accumulo è la superficie esterna protetta da una vetrata per ridurre le dispersioni di calore. La vetrata viene sistemata dai 10 ai 20 cm dalla parete in cemento esposta a Sud. La parete di accumulo viene generalmente dipinta di colore scuro per favorire l’azione solare che riscalda l'intercapedine tra la parete vetrata e la parete di accumulo.
Il muro di Trombe presenta nella parete, delle aperture, in alto e in basso, per consentire il passaggio dell’aria. L’aria calda, che tende sempre a salire, entra in casa in inverno passando dai fori superiori, richiamando nell’intercapedine l’aria fredda dell’interno.
D’estate il muro di Trombe funziona durante le ore notturne in cui il flusso è differente: l’aria calda dall'interno dell'abitazione entra nell’intercapedine dall’alto, si raffredda e ritorna nell’appartamento uscendo dal basso.
Sistema passivo 2: Tetto d'acqua
Si sfrutta una massa termica d’acqua contenuta in una determinato recipiente a copertura totale o parziale del tetto dell’abitazione. L'acqua a contatto diretto con le strutture del soffitto, riesce a riscaldare grazie al flusso termico che si genera per conduzione con il soffitto e poi per irraggiamento da quest’ultimo verso l’ambiente interno.
Durante la notte la massa d’acqua deve essere coperta con un coperchio isolante per ridurre le dispersioni termiche.
Il tetto ad acqua può essere impiegato anche per il raffrescamento estivo. Durante le ore più calde la superficie esposta all’esterno viene ricoperta da uno strato isolante per impedire il riscaldamento da irraggiamento solare, mentre la parte a contatto con il soffitto riceve calore dall’ambiente interno in moda che questo si rinfreschi. In seguito, durante la notte, il tetto d’acqua viene liberato dal coperchio superiore isolante per disperdere il calore assorbito verso l’ambiente esterno.
I pannelli solari termici
I pannelli solari piani per la produzione di acqua calda sono il sistema di captazione dell'energia solare tecnologicamente più semplice e commercialmente più diffuso nel mondo.
Il fluido termovettore entra nel pannello dal lato ad una quota inferiore così il moto del fluido nella tubazione è favorito dagli effetti della circolazione naturale, dato che il fluido si riscalda a mano a mano che avanza all'interno del pannello.
Percorrendo i tubi il fluido si riscalda: infatti i tubi sono connessi con la lastra assorbente, che assorbe l'energia solare incidente; il calore generato è trasmesso per conduttività termica attraverso il metallo del pannello e poi ceduto all'acqua per convezione.
La lastra assorbente ed i tubi sono protetti da una lastra di vetro, che serve per limitare il calore disperso per convenzione (cioè per intrappolare il calore tra pannello e lastra) e per proteggere il pannello dagli agenti atmosferici. Alcuni produttori, motivando la cosa con la fragilità del vetro, propongono lastre in materiali plastici che hanno anche costi più contenuti: si ha però una notevole perdita dal punto di vista delle caratteristiche spettrofotometriche. Inoltre in caso di grandi differenze di temperatura (pensiamo a giornate estive molto calde con acquazzoni che le raffreddano bruscamente) i materiali plastici possono deformarsi, mentre il vetro mantiene la propria forma.
Tipi di pannelli solari termici
I pannelli solari offrono una varietà assai grande di tipologie costruttive, per ragioni sia tecniche che commerciali. Variano i materiali impiegati per la lastra assorbente e per lo strato isolante; lo spessore, la natura ed il numero delle lastre di vetro; le modalità di connessione delle tubazioni alla lastra assorbente, il numero ed il diametro delle tubazioni; infine varia l'architettura del collettore. Le caratteristiche fisiche dei materiali impiegati influenzano in modo decisivo le prestazioni del pannello; la lastra assorbente deve avere un elevato coefficiente di assorbimento per captare l'energia raggiante solare ed una bassa emissione specifica. Ma vediamo i differenti tipi:
Pannelli a fluido liquido senza protezione detti anche "collettori non vetrati".
Noi non li vendiamo, anche se nel mercato vengono ancora proposti. Sono costituiti solamente da un assorbitore realizzato in materiale plastico. Per mancanza di copertura non sono in grado di superare i 40÷45°C, quindi hanno limitate capacità di riscaldamento. Sono soggetti a problemi di invecchiamento precoce ed in caso di grandine occorre sostituirli. Il basso costo è il loro principale vantaggio.
Pannelli a fluido liquido con protezione detti anche "collettori piani vetrati"
Sono costituiti da:
- un pannello assorbitore in metallo (in rame, alluminio o acciaio) che incorpora anche
- i tubi di passaggio del fluido vettore;
- una lastra in vetro o in plastica con buona trasparenza alle radiazioni emesse dal sole ed elevata opacità a quelle emesse dall’assorbitore;
- un pannello di materiale isolante, posto sotto l’assorbitore;
- un involucro di contenimento per proteggere i componenti di cui sopra e limitare le dispersioni termiche del pannello.
Questi pannelli possono produrre acqua calda fino a 90÷95°C. La loro resa diminuisce però in modo sensibile oltre i 65÷70°C. Non richiedono soluzioni d’uso complesse, hanno un buon rendimento e costi relativamente bassi. Per tali motivi sono i pannelli maggiormente utilizzati negli impianti civili. Per impianti di piccole dimensioni sono disponibili anche con serbatoio incorporato.
Pannelli ad aria a cassetta
Noi non li vendiamo ma esistono in commercio anche questi pannelli solari costituiti da un contenitore a scatola con superficie superiore trasparente (in vetro o in plastica) e con isolamento termico sia sul fondo che sulle pareti laterali.
L’assorbitore è una semplice lastra metallica (in acciaio o in rame) sopra cui, e talvolta anche sotto, scorre libero un flusso d’aria.
Questi pannelli non hanno una resa elevata in quanto l’aria è un vettore poco idoneo a scambiare e a trasportare calore. Tuttavia hanno il vantaggio di costare poco e di non richiedere l’intervento di uno scambiatore. Inoltre sono molto leggeri e, a differenza dei pannelli con fluido vettore liquido, non sono esposti a pericoli di congelamento o di ebollizione. Sono utilizzati soprattutto per riscaldare aria ambiente e per essiccare prodotti agricoli.
Impianti solari con accumulo
Abbiamo premesso che il principale svantaggio dell'energia solare è quello di non essere disponibile in continuo, per cui quando si realizza un impianto che funziona in base all'energia solare occorre pensare a dei serbatoi in grado di immagazzinare l'energia.
Occorre, insomma, provedere dei sistemi di accumulo che generalmente vengono realizzati con sostanze liquide, quantomeno nelle abitazioni. Questi serbatoi hanno all'interno una o due serpentine. Nel caso siano due la seconda serpentina può essere collegata ad una caldaia in modo da riuscire a scaldare l'acqua nel serbatoio alla temperatura desiderata anche in caso di insufficiente apporto dei pannelli o di necessità di maggiori temperature.
Serbatoi tank in tank
Se finora abbiamo parlato solo di impianti in grado di fornire una sola uscita d'acqua, generalmente per uso sanitario, ci sono dei sistemi combinati che provvedono sia alla produzione di acqua calda sanitaria sia di acqua per il circuito del riscaldamento.
In questo caso ci sono due serbatoi, uno dentro all'altro: il serbatoio più grande contiene l’acqua che serve a far funzionare l’impianto di riscaldamento, mentre quello piccolo contiene, invece, l’acqua che serve ad alimentare l’impianto sanitario.
I serbatoi “tank in tank” rendono più facile e semplice la realizzazione degli impianti solari combinati in quanto consentono di allacciare direttamente al serbatoio tutti i circuiti, e cioè: - il circuito solare, - il circuito di integrazione calore della caldaia, - il circuito dell’impianto di riscaldamento, - il circuito dell’acqua calda sanitaria.
Pannelli a circolazione forzata e a circolazione naturale
La circolazione del liquido avviene con l'aiuto di pompe, che intervengono solo quando nei pannelli il fluido vettore si trova ad una temperatura più elevata rispetto a quella dell'acqua contenuta nei serbatoi di accumulo. Per regolare la circolazione ci si avvale di sensori elettrici che confrontano la temperatura del fluido vettore nel collettore con quella nel serbatoio di accumulo (termocoppia).
I pannelli a circolazione naturale si riconoscono dal fatto che hanno un serbatoio posto orizzontalmente in alto. In questo caso si sfrutta la convezione il liquido vettore, riscaldandosi nel pannello solare, si dilata e galleggia, separandosi dal fluido più freddo, presente nello scambiatore del serbatoio di accumulo. Il liquido vettore, spostandosi nello scambiatore posto più alto rispetto al pannello solare, cede il suo calore all'acqua sanitaria del secondario.
Pannelli sottovuoto o a concentrazione solare
I collettori sottovuoto sono esteticamente molto simili ai collettori piani, in verità sono composti da tubi di vetro con una superficie appositamente trattata. Questi tubi vengono sigillati in modo da formare una camera nella quale viene realizzato il vuoto ed inserito il condotto attraverso il quale passa il fluido termoconvettore. La forma cilindrica consente una maggiore esposizione al sole, inoltre, al di sotto dei tubi, il pannello non è liscio ma ad onde che formano delle parabole in grado di catturare e convogliare l'irradiazione sul tubo.
Impianti fotovoltaici
Gli impianti fotovoltaici si sono diffusi velocemente grazie ad una serie di incentivi fiscali: inizialmente grazie ai contributi erogati dal GSE (conto energia), più di recente grazie al bonus 110% che prevede un rimborso pari all'intera cifra spesa per chi ha deciso di installare un impianto fotovoltaico ed eventualmente anche accumulatore a batteria e colonnina di ricarica. Questo investimento si doveva compiere in abbinamento ad un investimento "trainante", che dava diritto al bonus, e che spesso era una caldaia elettrica in pompa di calore.
Ma come funzionano i pannelli fotovoltaici? Come si genera energia da quei pannelli in silicio scuro che vediamo nel lato sud dei tetti delle abitazioni?
La conversione della radiazione solare in energia elettrica avviene sfruttando un meccanismo che, semplificato al massimo, si può descrivere così: quando l'atomo di silicio, che possiede 14 elettroni, viene colpito da un flusso luminoso, perde un elettrone. L'elettrone si sposta lasciando "un posto" che viene preso da un altro elettrone. Questo moto continuo di elettroni crea una corrente elettrica.
Per facilitare questo processo i cristalli di silicio possono essere “drogati”, ovvero possono essere aggiunte delle impurità sotto forma di atomi di boro o fosforo che amplificano il processo visto nel primo paragrafo.
Perchè viene utilizzato il silicio?
La ragione è principalmente dovuta al fatto che il silicio, a differenza di altri materiali con caratteristiche simili, è disponibile sul nostro pianeta in quantità immensa e gli scarti della lavorazione dei componenti elettronici possono essere facilmente riciclati.
Come si produce un pannello solare fotovoltaico?
Distinguiamo innanzitutto le cellule in silicio monocristallino, da quelle in silicio policristallino.
Per realizzare le prime si fondono cristalli di silicio di elevata purezza che vengono poi fatti raffreddare in forme di cubi o lingotti. Successivamente vengono tagliati a fettine sottili, dette wafers, che, grazie al ridotto spessore, consentono un maggior rendimento. Si distinguono per l'estetica più uniforme e scura.
Le celle in silicio policristallino, che hanno costi inferiori, differiscono dal monocristallino per la purezza del silicio. Hanno una resa inferiore rispetto al monocristallino ed un costo inferiore. I cristalli si presentano ancora aggregati tra loro ma con forme e orientamenti differenti cosa che genera le tipiche sfumature azzurre-blu sul pannello.
Le celle solari, come sopra descritte, non possono essere installate così come sono per la loro estrema fragilità, per il fatto di non essere elettricamente isolate e per non avere un supporto meccanico che ne permetta la facile manipolazione ed installazione. Per questo vengono assemblate in un "modulo fotovoltaico", un pannello robusto e maneggevole, in grado di resistere agli agenti atmosferici.
Per fabbricare un modulo fotovoltaico è necessario inserire le connessioni elettriche e collegare le singole celle tra di loro (se collegate in serie si aumenta la tensione, se in parallelo si incrementa la corrente).
Come si vede nello schema qui sopra le celle gengono fissate ad un film plastico o acetato viniletilenico, sia nel retro che nella parte superiore (incapsulamento).
A quel punto si sovrappone un vetro nella parte superiore ed un pannello in quella inferiore, per creare un sandwich che poi viene sigillato ed incorniciato.
Quanto dura un pannello fotovoltaico?
La fase di incapsulamento è importante perchè deve sia proteggere le celle che essere trasparente alla radiazione solare, stabile ai raggi ultravioletti ed alla temperatura.
Il modulo così ottenuto dovrà avere capacità autopulenti e mantenere bassa la temperatura delle celle in modo da garantire una durata di almeno 20 anni ma più realisticamente di 25/30 anni ai pannelli.
Quanti moduli fotovoltaici a Vicenza?
Il numero di moduli che compone un generatore fotovoltaico dipende dalla potenza di picco che si vuole installare e dalla potenza di picco del singolo modulo. Se, ad esempio, si vogliono produrre 2800 kWe elettrici in un anno a Vicenza, dove la radiazione solare annua è pari a 1415 kWh/m2, è necessario installare 2 kW.
Connessione in parallelo o in serie?
I moduli fotovoltaici possono essere connessi tra loro in serie o in parallelo: connettendo in serie più moduli si sommano le tensioni d’uscita dei singoli elementi e si ottiene in uscita dalla serie la stessa corrente del singolo elemento; più moduli in serie formano una stringa. Connettendo in parallelo più moduli si sommano le correnti d’uscita dei singoli elementi, mentre la tensione di uscita rimane invariata.
Inverter
Un impianto fotovoltaico necessita di un inverter che trasforma la corrente continua in alternata controllando la qualità della potenza in uscita per l’immissione in rete anche attraverso un filtro interno all’inverter stesso.
Negli impianti connessi alla rete, gli inverter devono riprodurre, il più fedelmente possibile, la tensione di rete, cercando nel contempo di ottimizzare e massimizzare la produzione energetica dei moduli fotovoltaici. La scelta dell’inverter e della sua taglia, va effettuata in base alla potenza nominale fotovoltaica che esso deve gestire.
Capitolo 5
L'involucro
Migliorare l'isolamento della abitazione
Per migliorare l'isolamento della propria abitazione ci sono differenti metodi ma tutti si pongono un obiettivo che è quello di ridurre la trasmittanza termica dell'involucro dell'edificio (pareti e tetto).
Che cos'è la trasmittanza?
La trasmittanza, secondo la norma UNI EN ISO 6946, si definisce come il flusso di calore che attraversa una superficie unitaria sottoposta a differenza di temperatura pari ad 1°C.
Chiaramente il valore dipende dalle caratteristiche del materiale o dei materiali che deve attraversare e si assume pari all’inverso della sommatoria delle resistenze termiche degli strati.
Come si calcola?
Per calcolare la trasmittanza devi prima trovare il valore della resistenza termica di tutti gli strati che costituiscono il muro o il tetto del tuo edificio, quindi sommare questi valori di resistenza e poi calcolare l'inverso di questo valore. Forse sembra complesso, ma ti assicuro che non lo è.
Semplifichiamo
Dicendolo in modo più semplice: se avvolgo la mia casa con strati di materiali isolanti, cioè con resistenza termica alta, più diminuisco la possibilità che il flusso di calore li attraversi e cioè che il calore esca. E ovviamente se l'involucro della mia abitazione viene pensato con l'obiettivo di diminuire la trasmittanza otterrò come risultato una diminuzione dei costi di riscaldamento.
Dipende dai materiali!
Oltre alla stratigrafia sono molto importanti i materiali scelti che vanno valutati consultando le schede tecniche dove sono riportati, appunto, i valori di resistenza termica che possono variare in modo importante. Ovviamente sono i materiali isolanti quelli che più influenzano il risultato e dovrai valutare non solo la tipologia ma anche lo spessore da utilizzare.
Come intervenire in un edificio esistente?
Per ridurre le dispersioni e quindi per "migliorare l'isolamento" di una abitazione la prima cosa da fare è quella di ridurre la trasmittanza delle superfici opache e di quelle trasparenti. Per superfici opache si intendono i muri ed il tetto, per superfici trasparenti le finestrature ed i lucernari.
Per quanto concerne le superfici opache la soluzione più semplice è quella di apportare ulteriori strati di materiali isolanti all'involucro esistente. Come abbiamo visto la presenza di ulteriori strati di materiali isolanti a elevata resistenza termica permetterà di ridurre la trasmittanza dell'edificio.
La termografia
In edilizia si usa da molti anni la termocamera ad infrarosso che ci permette di rilevare dove un edificio presenta rilevanti differenze di temperatura esterna. In questo modo possiamo immediatamente rilevare elementi importanti per redigere un progetto di risanamento energetico, in particolare possiamo evidenziare i ponti termici, vedere se ci sono infiltrazioni di acqua o umidità di risalita.
Anche edifici recenti, magari in classe A, possono avere problemi di condensa superficiale o interstiziale. In questi e altri casi la termografia è un importante strumento di diagnosi che ci permette di trovare le cause di queste problematiche.
Se vuoi approfondire la termografia trovi altre info qui:
Come procedere al miglioramento dell'involucro?
Il primo passo, che dovrai fare con l'aiuto di un bravo progettista (noi abbiamo selezionato ed elencato i migliori architetti di Vicenza ed i migliori architetti di Verona), è quello di analizzare e conoscere i 4 elementi fondamentali dell'involucro e cioè:
- parete
- tetto
- solaio verso cantina o verso terra
- serramenti
Questi sono i 4 elementi che compongono l'involucro della tua abitazione e l'intervento dovrà coinvolgere tutti e 4 questi elementi cercando, nello stesso momento, di eliminare o quantomeno ridurre i ponti termici.
Vediamo, intanto, i primi due: tetto e pareti.
Isolare il sottotetto
L'operazione più semplice e più efficace, da porre in essere immediatamente, riguarda il sottotetto. Il calore, infatti, tende sempre a salire ed occorre, per prima cosa, limitare la dispersione termica attraverso il tetto. Se si tratta di un tetto a falde si possono applicare delle lastre isolanti accoppiate con cartongesso che permettono di realizzare una sorta di "cappotto interno".
Se, invece, si ha la fortuna di avere un sottotetto praticabile è sufficiente andare ad appoggiare sul solaio del sottotetto delle lastre di materiale isolante, come lana di roccia, lana di vetro, polistirolo o lastre di sughero.
Isolare le pareti
Diverse sono le modalità per isolare le pareti di un edificio a seconda della posizione del materiale isolante rispetto alla struttura:
- isolamento dall’esterno (cappotto)
- isolamento in intercapedine
- isolamento dall’interno (cappotto interno)