Le Corbusier, architetto
Un architetto globale
Nel panorama architettonico del XX secolo la figura di Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Edouard Jeanneret-Gris, è senza alcun dubbio una delle più rappresentative per l'intensità della proposta progettuale e teorica, per la durata e la varietà dei contesti geografici del suo lavoro, per la globalità dei campi disciplinari e degli argomenti ai quali si è interessato.
L'epoca: la trasformazione industriale
Il significato dell'opera dell'architetto svizzero-francese si fonda sulla ricerca costante della sintesi fra le trasformazioni innescate dalla produzione industriale di serie e i fenomeni estetici che ne costituiscono la novità. Una ricerca di rinnovamento dei caratteri tipici dell'età della macchina che comprenderà tutte le discipline artistiche.
Esordio: il cemento armato
Nel 1908 Jeanneret si reca per la prima volta a Parigi, dove lavora per quindici mesi da Auguste Perret, che fa esperimenti con cemento e pezzi di ferro in casse di legno, nello studio al pianterreno di Rue Franklin 25bis, una casa-simbolo delle nuove possibilità offerte dal calcestruzzo armato. La conoscenza di questa tecnica rivoluzionaria viene ulteriormente approfondita in Germania presso lo studio di Peter Behrens, dove Jeanneret si ferma per qualche mese e dove conosce Walter Gropius e Ludwig Mies van der Rohe.
Produrre industriale di case
È significativo il fatto che nel 1914, prima di decidere di essere un architetto, abbia studiato insieme all'ingegnere Max Du Bois un sistema di costruzione per la produzione in serie di abitazioni a basso costo durante il primo conflitto mondiale. La Maison Dom-Ino (Domus-Innovazione), che non otterrà mai un brevetto, prevede la realizzazione di pilastri e solai standardizzati di cemento in un'ossatura modulare, estensibile a forma di Lo di U per accostamento su lati diversi, come le tessere del domino.
Gallerie, riviste e pseudonimo: l'architetto diventa artista
È con una parallela ambizione di imprenditore edilizio e di intellettuale che nel 1916 leanneret si trasferisce definitivamente nella capitale francese alla ricerca di affermazione personale. Convinto assertore dell'unità delle arti visive, conosce attraverso Perret il pittore Amédée Ozenfant, con il quale espone nel 1918 le prime opere alla Galleria Thomas. Nel 1920 insieme al poeta dadaista Paul Dermée fonda «L'Esprit Nouveau», rivista che raggiungerà presto una diffusione mondiale. Da questo momento Charles-Edouard Jeanneret-Gris si firmerà «Le Corbusier». Nel secondo dei ventotto fascicoli della rivista è pubblicato lo scritto Aprés le Cubisme, manifesto del movimento purista, nel quale i due artisti auspicano il superamento dell'esperienza cubista attraverso uno spirito nuovo.
Un nuovo linguaggio architettonico puro
Alla base del purismo, come spiegato nella rivista, è la rigorosa applicazione di alcune varianti compositive: l'uso di forme geometriche semplici, la ricerca dell'essenzialità, il ritorno alla purezza e al rigore del linguaggio classico. Una nuova estetica che trova i suoi canoni nelle forme e nelle strutture architetttoniche della produzione industriale e nel materiale del futuro: il calcestruzzo. Grazie alla sua compattezza, plasticità ed economicità diventerà il materiale da costruzione più utilizzato nel 19mo secolo.
Il primo libro
Alcuni scritti pubblicati sulla rivista vengono raccolti nel 1923 nel libro Vers une Architecture, nel quale Le Corbusier, attraverso associazioni provocatorie, celebra l'estetica della macchina, invitando a saper vedere i prodotti della modernità - aerei, piroscafi, automobili, silos - con gli stessi occhi con cui erano viste icone della classicità come il Partenone. Già il progetto per la Maison Citrohan, sviluppato tra il 1919 e il 1920, conteneva allusivamente nel nome l'idea dell'edificio come macchina da abitare, prodotta in serie in base a principi di standardizzazione e funzionalità degli spazi, e con un proprio ciclo di vita.
Finestrature orizzontali, pilotis, tetto a verde
I progetti delle Maison DomIno e Citrohan non sono altro che la traduzione dei principi alla base dell'estetica purista e la rappresentazione sintetica dell'identità strutturale e linguistica dell'architettura moderna. Sono la condizione necessaria di quelli che lo stesso Le Corbusier dichiarerà come i cinque punti della nuova architettura: la pianta e le facciate dell'edificio si liberano nella loro articolazione dai vincoli della struttura portante; la finestra in lunghezza consente un maggiore apporto di luce e aria e una relazione con l'esterno di cotale apertura; l'edificio si solleva per mezzo dei pilotis e lascia una libera e naturale circolazione al livello del suolo; il tetto piano sistemato a verde replica lo spazio esterno sopra la città
Villa Savoye
Accanto alle proposte sulla standardizzazione dei metodi costruttivi iniziano, a partire dal 1925, realizzazioni per una committenza privata di collezionisti d'arte ed eccentrici borghesi nei sobborghi di Parigi: la Villa Stein a Vaucresson e la Villa Savoye a Poissy, insieme alle due case costruite al quartiere di esposizione Weissenhof di Stoccarda, sono le occasioni per applicare programmaticamente alla scala dell'architettura la rigorosa sintassi purista.
Le idee di Le Corbusier non possono prescindere dalla scala della città, attaccando polemicamente i parametri tradizionali nel nome del funzionalismo e del miglioramento sociale dell'abitare.
La città ideale: sole, spazio e verde
Nel 1925, in Urbanisme, contesta la tradizionale strada-corridoio, contrapponendovi l'urgenza di una chirurgia radicale alle cure mediche che gli urbanisti europei apportano alle malattie della città storica. Le conferenze che tiene in tutta Europa propongono altrettanti progetti ideali. Nella Città contemporanea per tre milioni di abitanti, una proposta che riscatta l'automobile come mezzo moderno e veloce che percorre ampi rettilinei stradali, le torri cruciformi degli uffici sono al centro di una griglia ortogonale, mentre le Immeuble Villas, dotate di giardini pensili, sono all'esterno, per godere delle tre «gioie essenziali»: sole, spazio e verde.
La Russia e la città lineare
Un'utopia urbana riproposta nel Plan Voisin - il committente è una fabbrica di automobili e aeroplani - che sostituisce provocatoriamente il tessuto storico di Parigi a nord della Senna con pochi condensatori sociali. Non è un caso che nel 1930 le autorità sovietiche lo chiamino per uno studio sulla decentralizzazione delle funzioni sociali e ricreative: la «risposta a Mosca» di Le Corbusier è la Ville Radicuse, città lineare a sviluppo potenzialmente illimitato concepita per fasce funzionali parallele dove, nonostante l'enorme percentuale di verde e una nuova tipologia abitativa con andamento à redent, assegna un importante ruolo alla produzione industriale, poi riproposta nella Città lineare industriale per l'urbanizzazione della valle morava di Zlín.
Gli ultimi anni di lavoro
La disillusione che caratterizzerà gli ultimi decenni del suo lavoro, contrassegnati da progetti meno utopici e più attenti ai molteplici contesti in cui opera, nasce non solo dalla esclusione dai programmi ufficiali di ricostruzione, dalla sfortunata conclusione di alcuni concorsi internazionali e dalla riduzione di alcuni ambiziosi programmi di realizzazione, ma soprattutto dalla mancata comprensione della lentezza insita nei processi tecnici e di trasformazione sociale. A questa svolta realista corrisponde una ricadura estetica nella sincerità diretta dei materiali costruttivi e in un sistema di controllo proporzionale a scala umana. Le ultime opere a carattere spirituale, come la cappella di Ronchamp e il convento della Tourette, declinano gli usi della luce naturale per esaltarne poeticamente l'ineffabilità.
Conclusione
La complessità e libertà di giudizio di questa inquieta figura pubblica, che ha attraversato diverse generazioni artistiche, incarna quindi perfettamente le tensioni e le contraddizioni del secolo della modernità. Tra le caratteristiche del suo personale metodo progettuale: una infinita curiosità nei fenomeni urbani e nei modelli architettonici, da quelli storici a quelli più spontanei, e la fiducia nel loro possibile miglioramento; la capacità di rielaborare suggestioni annotate a schizzo durante i numerosi viaggi di studio, che riaffiorano a distanza di anni nutrendo architetture e paesaggi di altri contesti, così come di riprendere con una libera attitudine manieristica soluzioni già adottate a una scala diversa; una ricerca individuale caparbia e infaticabile, mai conclusa e perseguita induttivamente per sessant'anni sulle fonti più disparate, che troverà nelle sue architetture una diretta rispondenza a pochi principi di estrema chiarezza.