Kengo Kuma, architetto
Attenzione massima per la materia e per l'ambiente
Il paziente e minuto lavoro che Kengo Kuma compie sulla materia, fino a farla divenire costruzione e darle forma, contraddistingue le sue opere architettoniche, alcune delle quali trovi in questo articolo. Kuma recupera dall'architettura giapponese tradizionale soprattutto l'idea di creare una "armonica connessione" tra architettura e natura.
Biografia di Kengo Kuma
Nato a Kanagawa nel 1954, dopo la laurea conseguita nel 1979 presso l'Università di Tokyo, Kuma prosegue gli studi alla Columbia University di New York.
Nel 1987 - sono gli anni della bubble economy - fonda lo Spatial Design Studio. La produzione architettonica di questo periodo, che evidenzia il modo in cui Kuma tenta di esprimere lo stato caotico di molti aspetti della vita contemporanea, è caratterizzata dall'uso prevalente del calcestruzzo e risente ancora della formazione accademica.
Come dirà successivamente Kuma:
La mia relazione con l'architettura è cominciata con una intuizione particolare. Potrei descriverla come un'avversione, o una sensazione di disagio, che provavo verso il calcestruzzo"
Il periodo del caos
La ricerca di una forma "coerente con il caos" induce Kuma a "uniformare" la sua architettura al disordine urbano di Tokyo. Tra il 1986 e il 1991 - un arco di tempo che potremmo definire "periodo del caos" e la cui opera più rappresentativa è M2, edificio destinato a showroom e uffici completato nel 1991 - tutta la sua produzione interpreta la centralità di questa posizione, mentre la sua attività professionale gli consente di confrontarsi con situazioni fortemente caratterizzate poiché connesse a congestionati ambienti urbani. Anche questa esperienza gli fece dire successivamente che:
...la mia vita professionale è stata finalizzata ad un unico obiettivo: sfuggire alle grinfie del calcestruzzo.
Fuggire dal calcestruzzo, però, non è una missione semplice: permette di realizzare curve complesse, forme di ogni tipo con estrema facilità, motivo per cui il calcestruzzo è diventato il materiale dominante nei cantieri di tutto il mondo.
Un architetto ribelle
Kuma matura progressivamente questo differente atteggiamento di repulsione verso il modo di costruire "moderno", non condivide l'entusiasmo con cui suoi colleghi sposano l'utilizzo del calcestruzzo anche in Giappone. Egli compie un periodo di ricerca sui materiali e sui metodi tradizionali di costruzione, processo che, a partire dagli anni novanta, gli farà cambiare radicalmente le modalità di progettazione. Innanzitutto abbandona il calcestruzzo, un materiale sentito ormai come "invasivo" rispetto all'equilibrio del paesaggio ma cambiano anche le forme degli edifici che da scultoree si trasformano in strutture lineari, filiformi, trasparenti, e, soprattutto, caratterizzate dall'impiego di materiali "naturali".
Precursore dell'architettura sostenibile
Il tentativo di realizzare un'architettura ambientalmente sostenibile si compie come progressivo "ritorno" alla tradizione e si accompagna al recupero di un rapporto tra interno ed esterno, tra ciò che è lontano e ciò che è vicino. La relazione tra architettura e natura è pensata in ragione della visione, inquadrando porzioni di paesaggio da punti diversi e con differenti angolazioni. Questa evoluzione induce Kuma a sostenere, spiegando i caratteri del suo lavoro, che
Se in passato, come la generazione di architetti giapponesi precedente alla mia, ho anch'io aderito ai principi del Modernismo, ora però avverto la necessità di ritornare ai capisaldi dell'architettura giapponese tradizionale. Penso che non ci sia una differenza fondamentale tra il concetto di base del Modernismo occidentale e quello dell'architettura tradizionale giap-ponese. Esiste una relazione tra i due ... che l'architettura moderna giapponese ha per molto tempo ignorato
Il Kiro San Observatory
La ricerca di un'intima connessione tra artificio e natura è avviata con il progetto del Kiro-san Observatory a Ehime. Le caratteristiche dell'ambiente naturale inducono Kuma a notare che «un oggetto in quel luogo avrebbe inferto un colpo fatale all'ambiente, anche se fosse stato di vetro trasparente ... Così compresi che c'era qualcosa di errato nel creare un oggetto e poi tentare di farlo sparire e decisi di invertire la direzione della visione»: l'architettura non come oggetto artificiale entro un ambiente naturale, ma come elemento integrante di quell'ambiente, mentre lo spazio architettonico viene concepito come "macchina per inquadrare porzioni di paesaggio".
Cancellare l'architettura
Per cancellare l'architettura dobbiamo capovolgere la nostra forma di percezione. Invece di guardare l'architettura dall'esterno, dobbiamo guardare l'ambiente dall'interno. L'architettura deve essere concepita come una cornice per osservare l'ambiente.
Tuttavia, anche questo approccio non è sufficiente.
Per cancellare l'architettura dobbiamo non solo invertire la direzione della visione, ma eliminare la nostra dipendenza dalla percezione visiva, rifiutare il carattere assoluto della visione. Questo non significa che dobbiamo semplicemente introdurre suoni, trame e odori ... ma capire se siamo in grado di esprimere la totalità che chiamiamo "luogo" .
Un pittore di materia e spazi
Facendo leva su queste motivazioni, Kuma imprime ai materiali "vibrazioni pittoriche" e punta sui valori e sui significati simbolici della materia. Taglia, giunta, sovrappone, tesse, piega, replicando all'infinito un principio costruttivo che nelle sue opere si fa narrazione che si compie per polarità, per "coppie archetipiche":
- luce/ombra,
- semplice/complesso,
- opaco/trasparente,
- provvisorio/permanente,
- massivo/leggero,
- superficie/ profondità,
- univoco/molteplice,
- trama/ordito,
- continuo/discontinuo,
- ripetizione/variazione,
- alto/basso
Edifici profondi
Attingendo da una sorta di atlante della memoria", Kuma mira a dimostrare il potere evocativo delle immagini cui ricorre, a svelarne l'impronta genetica, la natura arcaica, a spiegare come funzionano, come si contagiano recipro-camente. E anche per questa ragione le sue opere sembrano emergere dalla profondità del tempo, vivere come memoria ereditata, generare una "catena associativa" e assumere nuovi significati, come si può osservare nella Great (Bamboo) Wall, dove le connessioni fra astrazione e manifestazione sensibile del materiale rinviano a un "approccio sensitivo" all'architettura, a una lezione fondamentale dell'arte e della tradizione giapponese.
I nomi delle architetture di Kuma
Queste concezioni vengono espresse anche attraverso la denominazione assegnata ai progetti: Water/Glass, River/Filter, Plastic House, Adobe Museum, Stone Museum, più che indicare un'opera rinviano a un principio generativo, a una ricerca figurativa esercitata sulle possibilità espressive della materia. Kuma associa un'idea, un luogo, a un materiale, a una sensazione: il Batomachi Hiroshige Museum, ad esempio, prima di essere uno spazio espositivo è un "filtro intermediario sensibile", una macchina per "scomporre la luce" e illuminare in maniera ottimale le opere esposte.
L'architettura immateriale
Tuttavia, e sebbene a prima vista possa apparire contraddittorio notarlo, indipendentemente dai programmi o dagli spazi Kuma, nei suoi edifici, mira a sondare un'potesi paradossale: quella dell'immaterialità dell'architettura. Un'immaterialità perseguita agendo, oltre che sulle relazioni tra materia e luce, sulle sensazioni tattili, uditive, olfattive e ricercata fino al punto che consente di fare emergere dal visibile la "preistoria del visibile", perché l'architettura di Kuma è evocativa della dialettica tra il "già stato" e il "non ancora".